Pietro Citati, la Repubblica 8/12/2009, 8 dicembre 2009
Un funambolo SOSPESO TRA DUE MONDI- Da molti anni non vedevo Le vacanze di Monsieur Hulot (1953) e Mon oncle (1958); e avevo in parte dimenticato l´estro, la fantasia, l´assurdità, le gags, l´intelligenza psicologica e sociale di Jacques Tati
Un funambolo SOSPESO TRA DUE MONDI- Da molti anni non vedevo Le vacanze di Monsieur Hulot (1953) e Mon oncle (1958); e avevo in parte dimenticato l´estro, la fantasia, l´assurdità, le gags, l´intelligenza psicologica e sociale di Jacques Tati. Tra i due film, corrono soltanto cinque anni: ma Tati ha rappresentato due epoche di storia completamente diverse e opposte tra loro. Le vacanze di Monsieur Hulot incarnano il tramonto della società borghese. Siamo d´estate, al mare, probabilmente in una località della Bretagna meridionale: in un piccolo albergo - Hôtel de la plage - dove si raccoglie la media borghesia francese. C´è soltanto un attivissimo uomo d´affari, che riceve di continuo telefonate da New York, Londra, Parigi, Milano: da industrie, avvocati, banche, commercianti, e chissà chi. Il vortice del denaro attraversa per un momento il piccolo albergo sulla spiaggia: stupisce i camerieri e i clienti; esplode e si allontana. All´Hôtel de la plage Monsieur Hulot arriva probabilmente in una sera di fine luglio. Guida un´automobile quasi invisibile, che inalbera una rete da pesca: l´automobile è vecchissima, incerta, traballante; costruita alla fine degli anni Venti o a metà degli anni Trenta, certo prima della nostra Topolino. Nessuno le presta attenzione; e quando attraversa un paese, deve arrestarsi, perché un grosso cane di cattivo umore, disteso sulla strada, rifiuta di alzarsi, di spostarsi e di lasciarla passare. Quando Hulot giunge all´Hôtel de la plage, comprendiamo che è povero, o quasi povero. Mentre gli altri ospiti abitano il secondo o terzo piano dell´albergo, i camerieri lo accompagnano in alto, in una specie di soffitta, dalla quale scorge il mare. Ma si ha l´impressione che il mare gli sia indifferente. A lui interessa soltanto la moltitudine degli ospiti, che occupa il salotto, la sala da pranzo, la spiaggia, le cabine, ognuno con le sue pittoresche abitudini e i suoi capricci. Monsieur Hulot è un altissimo burattino. La sua testa è sempre dieci centimetri più in alto di quella degli altri ospiti dell´albergo. Obbedisce ad alcune movenze, che ripete sempre di nuovo, perché è incapace di cambiare. Cammina ballonzolando, con piccoli salti: tiene volentieri le mani sui fianchi; e piega ogni tanto le ginocchia, come se dovesse praticare una perenne ginnastica. Si inchina lievemente e si toglie il cappello davanti a tutti, ereditando le stesse mosse, che trenta o quaranta anni prima aveva compiuto, con meno austerità, il suo lontano cugino Charlot. Porta perennemente la pipa in bocca. Non parla mai. Nelle Vacanze, pronuncia una sola volta il proprio nome, quando il maître riesce a udire le due esili sillabe di presentazione. In Mon oncle discorre più volentieri: lascia cadere sussurri e parole nelle orecchie di una giovane signora e di una vecchia signorina, che ridono fragorosamente; ma noi non comprendiamo mai quello che dice. La sua parola è il silenzio. Qualcuno può supporre che il silenzioso e inflessibile Hulot abbia il cuore vuoto, come tutti i burattini che abbiamo conosciuto. Ma non è vero. Sia nelle Vacanze sia in Mon oncle, Hulot gronda di sentimenti, sebbene forse li ignori. Quel cappello perennemente levato, appena incrocia uno sguardo, rivela una squisita gentilezza e grazia del cuore: un inchino, elargito senza eccezione, a tutti coloro che parlano e si muovono. Hulot si stupisce di continuo. Tutti i personaggi, incontrati all´Hôtel de la plage, o nelle strade di Parigi, al mercato, nella casa del cognato, suscitano la sua meraviglia, e talvolta la sua ammirazione. Il mondo è così vasto, diverso, pittoresco, multiforme, che egli è costretto ad alzare di continuo le sopracciglia e a sgranare degli occhi, sebbene il riso increspi di rado le sue labbra. Forse, il suo sentimento essenziale è l´accettazione. Quando, in Mon oncle, la sorella e il cognato gli propongono le cose più insensate, Hulot china il capo, obbedisce a qualsiasi proposta, non rifiuta mai nulla. Rifiutare è, per lui, qualcosa di assolutamente impossibile. Qualsiasi gesto compia, se cammina, se si stira, ballonzola, gioca a tennis, guida l´automobile, Monsieur Hulot è sempre rigido. Come per venirgli incontro, anche la realtà si irrigidisce, si indurisce, si pietrifica. Tutto, attorno a lui, è fisso, e lo guarda con occhi fissi. Quando le due opposte rigidezze si scontrano, producono una catastrofe, o una serie spettacolosa di catastrofi. Se Hulot apre la porta dell´albergo sulla spiaggia, ecco una tempesta furibonda di tovaglie, tovaglioli, bastoni, baffi: se Hulot incontra il cognato e i suoi amici nel giardino di Parigi, provoca un´eruzione di petrolio; e se sorveglia il passaggio di un tubo di plastica, lo trasforma in una ridda di salsicce. Immaginato cinque anni dopo Le vacanze, Mon oncle dovrebbe rappresentare il mondo moderno: quello di plastica, opposto alla vecchia Francia popolana e borghese. Esso è attivo: produce sempre, senza arrestarsi mai: tubi, seggiole, pesci che emettono acqua, automobili perfezionatissime. Quello antico ha un simbolo nella figura del vecchio spazzino, che chiacchera, chiacchera, chiacchera, e nell´ultima pagina del film non ha ancora finito di spostare il mucchio di foglie secche, del quale ha cominciato a occuparsi nella prima pagina. Il mondo di plastica è regolare, ordinato, astratto, a volte immateriale: come la casa del cognato di Hulot, con le seggiole tutte eguali, prodigiosi strumenti meccanici nella cucina, la strada curva che attraversa il giardino, l´ossessionante ticchettio delle scarpe della sorella, le spazzole e gli stracci che puliscono borse e automobili, fino ad abolire l´ultimo granello di polvere. Il mondo antico è la casa di Hulot: con le scale che salgono, discendono, risalgono e ridiscendono. Tutto è disordine: i vecchi caffè, i piccoli mercati, le bancarelle di verdura e di frutta, le bilance che non sanno misurare il peso, il riposo interminabile che si insinua tra ogni azione. Nelle Vacanze, Monsieur Hulot è solo: nessun personaggio lo guarda o gli tiene compagnia. In Mon oncle, Hulot ha un´infinita compagnia: quella dei bambini, che sono suoi complici e nei quali egli riconosce dei complici. Sono scene stupende, tra le più belle, forse, che Tati abbia mai rappresentato: i bambini che fingono falsi scontri tra le automobili, mangiano frittelle e ciambelle alla marmellata e allo zucchero, fischiano e mandano i viandanti a sbattere il viso contro i pali e i lampioni. Nell´oggi regolare e ordinato, i bambini fanno splendere le virtù creatrici del divertimento puro. Qualcuno potrebbe pensare che, in Tati, il mondo moderno sia sgradevole e spiacevole. In realtà, egli non possiede nessuna ideologia o partito preso. Non detesta né la plastica né l´astrazione. Nella grande farsa di Mon oncle, il mondo moderno è accompagnato dalla festosa danza dei cani, e da una musichetta che non potrebbe essere più piacevole e lieta. Per Tati la realtà si trasforma sempre, e ci corteggia come un gioco che non finirà mai.