Franco Giubilei, La stampa 8/12/2009, 8 dicembre 2009
Le sei corde magiche che hanno creato il rock- Se c’è una chitarra che fa rima con rock’n’roll quella è la Fender, almeno da quando Jimi Hendrix imbracciò la sua Stratocaster davanti a quel che restava della marea umana di Woodstock, esattamente quarant’anni fa
Le sei corde magiche che hanno creato il rock- Se c’è una chitarra che fa rima con rock’n’roll quella è la Fender, almeno da quando Jimi Hendrix imbracciò la sua Stratocaster davanti a quel che restava della marea umana di Woodstock, esattamente quarant’anni fa. L’esibizione di Jimi era slittata al mattino successivo della tre giorni di pace e musica, e il pubblico si era molto ridotto rispetto alle centinaia di migliaia che si erano accalcati nella campagna di Bethel fino a poche ore prima, ma l’immagine di Hendrix che strapazza la sua Fender sulle note di «Hey Joe» è entrata di diritto nella galleria delle immagini sacre ai devoti del dio del rock. Ora una mostra, allestita al Museo internazionale della musica di Bologna dal 12 dicembre al 31 gennaio, rende omaggio alla chitarra che ha attraversato la storia pop del secolo scorso, dando voce e distorsione ai generi più svariati: rock, punk, metal, blues, progressive, jazz-rock, grunge, e chi più ne ha più ne metta, perché lo strumento inventato da Leo Fender, un artigiano dell’Arizona che poi avrebbe venduto l’azienda di famiglia alla Cbs, si è dimostrato talmente duttile da farsi amare da chitarristi lontanissimi fra loro per gusti e sensibilità. Qualche nome? La Hall of Fame del sito ufficiale è lunga più di venti pagine e gronda celebrità: oltre al già citato Jimi Hendrix c’è «slow hand» Eric Clapton, ma si va dalla A di Andy Summers (ex Police) alla Zeta di Frank Zappa, senza dimenticare mostri sacri delle sei corde come Mark Knopfler, Steve Winwood e Dave Gilmour dei Pink Floyd, fino a John Frusciante dei Red Hot Chili Peppers, a Sting e a Joe Strummer dei Clash. Kurt Cobain, tragico leader dei Nirvana, la sua Fender l’aveva personalizzata per distorcere al meglio gli effetti elettrici dello strumento. E tanto per restare nell’alone di leggenda che avvolge la chitarra americana, prima di lui erano stati John Lennon e George Harrison a brandirla per cavarne le sonorità desiderate. La mostra di Bologna è dunque un’occasione per tuffarsi nella storia di chitarre e bassi elettrici, senza dimenticare che anche questi oggetti hanno fornito materiale per un derby musicale urlato dagli amplificatori nei concerti di mezzo mondo: dove da una parte ci sono i seguaci della Fender e dall’altra quelli della Gibson, altro celebre marchio del settore. In mezzo, musicisti che hanno oscillato fra l’una e l’altra come il grandissimo Pete Townshend degli Who, che alla sua Gibson ha dedicato anche una malinconica strofa di «I’m one» da «Quadrophenia», nonostante in gioventù ne sfasciasse una dietro l’altra nei concerti, prima di darsi anch’egli alla Stratocaster. Al Museo della musica di via Galliera i visitatori cammineranno fra memorabilia della collezione Fender e di altre collezioni private come quella di Red Ronnie, chitarre d’epoca, riviste, manifesti, lp, foto e manifesti. Saranno anche esposte le opere a tema di venti artisti che esplorano le connessioni fra musica e arte in dipinti, fotografie e installazioni. Fra loro Pablo Echaurren, Marcello Jori, Bugo. Titolo del tutto: «Love me Fender», in onore di re Elvis e del rock’n’roll.