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 2009  dicembre 10 Giovedì calendario

«IO E AMANDA INSIEME NELLO STESSO INCUBO. UN’ASSASSINA? ASSURDO, LEI DOLCISSIMA»



TERNI - Nel suo mondo, un metro quadrato in più è un lusso, il sole una stella lontanissima, sentire l’odore del mare un miracolo. I libri gli servono per arrivare alla luce della finestra con l’inferriata, quanto per diventare un super esperto d’informatica. Padre Pio e il suo sguardo calmo lo fanno sopravvivere, la sua famiglia gli regala ogni giorno la speranza, prega perché tutto si ribalti come con un colpo al mappamondo. Ma l’eroe di Raffaele Sollecito, venticinquenne di Giovinazzo, non è Superman, bensì l’Uomo Invisibile, perché «quando questo sarà finito vorrò uscire in punta di piedi dal carcere e non essere riconosciuto da alcuno». Una condanna lunga quanto la sua età per l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, uno in meno di quelli inflitti alla sua ex fidanzata Amanda Knox, sua complice per l’accusa, Raffaele parla attraverso le domande consegnate a Luca Maori, uno dei suoi avvocati, ma la sua voce arriva direttamente dal carcere di Vocabolo Sabbione, Terni.
Raffaele Sollecito, c’è stato un momento del processo in cui pensava di farcela?
«L’ho pensato in ogni momento, ero certo che la sentenza mettesse fine ad un incubo. Invece, no».
Qual è stato il suo primo pensiero quando ha capito di essere stato condannato?
«Quando hanno letto la sentenza non capivo cosa stesse accadendo e anche ora mi sembra impossibile e non riesco a capire perché sono stato condannato».
Che ha pesato di più nella sua condanna?
«Il battage mediatico, probabilmente. Ma voglio leggere la sentenza per capirlo»
Il momento più duro del processo?
«Quando è venuto un testimone che ha dichiarato di avermi visto assieme a Meredith, Rudy e Amanda il 30 ottobre. Allora ho capito che pur di farsi pubblicità le persone sono pronte a tutto. Anche a inventare la realtà».
Cosa le ha fatto più male in questi mesi di udienze?
«La vivisezione della mia famiglia con le migliaia di telefonate intercettate e tutti i colloqui dei miei familiari messi alla berlina».
In cella cosa le manca di più?
«Mi manca più di ogni altra cosa la mia famiglia. Mi mancano anche gli amici, la vita di tutti i giorni, passeggiare nella piazza del mio paese. E mi manca tanto l’odore del mare.
La sua famiglia ha fatto tanto...
«Senza di loro non ci sarei più, sarei già morto. Loro hanno pagato per avermi creduto, mia sorella ha perso il posto per avere il mio stesso cognome, mio padre è finito sotto accusa».
Riesce a pensare ad un futuro fuori dal carcere?
«Sì, altrimenti impazzirei. Penso soprattutto a studiare a prendere una specializzazione post-laurea».
Cosa le da più forza per andare avanti?
«La fede in Dio, lo prego in ogni momento attraverso le preghiere di padre Pio. Sono sempre stato vicino alla fede, non è una rivelazione di questi mesi terribili, è qualcosa che ho sempre avuto dentro. Se non avessi avuto la fede l’avrei fatta finita.
Di cosa ha paura adesso?
«Dell’incertezza del futuro, di cosa possa accadere ancora. Dovrei essere fiducioso, ma è molto difficile. Il mondo mi è crollato addosso con quella sentenza. E’ crollato addosso a me e Amanda».
Già Amanda, che effetto le ha fatto rivederla in questi mesi?
«Un effetto piacevole perché è una persona a me molto cara anche se siamo stati insieme per poco tempo. Anche lei si trova a vivere un incubo e una situazione tremenda come la mia»
Ne è ancora innamorato?
«Non sono innamorato di Amanda, ma le sono molto vicino perché la considero la mia compagna di sventura»
Crede che Amanda sarebbe stata capace di uccidere in un momento d’ira?
«Non oso neanche pensare a una cosa del genere. E’ assurdo e improponibile, lei è una ragazza dolcissima»
Dopo il delitto andaste a comprare biancheria intima per una notte di fuoco, come disse lei. Non le sembra un comportamento inappropriato?
«Siamo andati a comprare biancheria intima perché Amanda aveva tutto sotto sequestro. Tutto quello che è stato detto è sbagliato, la mia era solo una battuta. Certo, rivolta alla biancheria e ad Amanda, ma solo una battuta»
Secondo lei chi ha ucciso Meredith Kercher, la notte di Ognissanti di due anni fa?
«Non lo so e non lo posso sapere. I miei avvocati hanno detto che l’unico colpevole è Rudy Guede e lo hanno dimostrato in aula. Mi fido di loro, non posso dire altro perchè, ripeto, non lo so».
Pensa che la sua famiglia abbia utilizzato i media.
«I miei familiari non hanno usato i mass media, sono i media ad averli cercati e loro hanno solo spiegato all’informazione quale fosse la mia situazione».
Pensa che il suo caso possa diventare un simbolo magari per riformare il sistema giudiziario?
«Io spero solo di poter farmi dimenticare prima possibile, vorrei tornare nell’anonimato prima possibile come prima, voglio una vita normale di un ragazzo di venticinque anni. Vorrei non essere riconosciuto quando uscirò dal carcere».
Se tornasse indietro cosa non rifarebbe?
«Niente, non cambierei nulla della mia vita. Sono gli altri che me l’hanno cambiata. Probabilmente cambierei loro».