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 2009  dicembre 10 Giovedì calendario

ASTE, RAFFAELLO RILANCIA IL MERCATO

Poco meno di 50 mila euro a centi­metro quadrato. Il disegno di Raf­faello Sanzio che Christie’s ha ven­duto martedì sera in un’asta londi­nese per 32,2 milioni di euro è il massimo del new style : ecologico (su carta), rarissi­mo (l’ultimo in mani private) e italiano (pu­re del Rinascimento). Papa Giulio II proba­bilmente se la ride.

Quando, nel lontano 1508, decise in cuor suo di licenziare tutti gli artisti al lavoro in Va­ticano, per affidare a quel giovane di belle spe­ranze l’incarico di quat­tro affreschi nella «Stanza della Segnatura», qualcu­no lo prese per matto. Ma aveva ragione lui. Un pro­verbio romano dice «papa per voce, re per natura, im­peratore a forza». Il buon gu­sto e la cultura non si rapina­no. Si coltivano o si posseggo­no. E per acquistare i loro ri­sultati, oggi, oltre a valanghe di soldi, ci vogliono un pizzico di follia e molta passione.

I 677 centimetri quadrati di quel disegno vanno custoditi e conservati bene. Pena il rischio di perdere ciò che si è speso.

L’asta di Christie’s ha incassato 75,5 milioni di euro. Contro i 16,1 dell’analoga vendita nel dicembre 2008. Ma il merito non va certo al­l’euforia del mercato, quanto al fat­to che il catalogo ruotava intorno a tre capolavori. Il piccolo studio del­la «Musa» di Raffaello. Un «Ritratto d’uomo» di Rembrandt, stimato tra 21 e 28 milioni di euro e aggiudicato a 22,3. E un capolavoro dello Zampieri, co­nosciuto come il Domenichino, uno dei più importanti esempi di pittura barocca passa­ti in asta da molti anni. Stimato tra 8 e 11 milioni e venduto a 10,2 milioni. Come si vede battute milionarie, ma poco oltre il mi­nimo della stima. Raffaello a parte (14-18 mi­lioni).

Il Rembrandt era stato esposto nel 1847, in prestito dalla collezione di George Fol­liott e venduto dal nipote di questi in un’asta del 1930 per 18.500 sterline. Una ci­fra notevole per l’epoca. Poi fu acquistato da George Huntington Hartford II, collezio­nista ed erede della catena di supermarket Atlantic and Pacific. Nel 1958 Huntington Hartford II donò l’opera alla Columbia Uni­versity, dove restò appeso a una parete del­l’ufficio del rettore. Custodito per sicurezza in un deposito durante le dimostrazioni stu­dentesche del Sessantotto, fu venduto nel 1974. Da allora è rimasto nella stessa colle­zione privata. Supervalutato da Christie’s non è salito molto, a causa delle sue condi­zioni rischiose di conservazione.

Il disegno dell’urbinate – presentato co­me ultimo lotto del catalogo – ha scatena­to offerte al rialzo di un milione alla volta (in sterline). Inizialmente anche in sala, poi con due contendenti al telefono. Sembra che l’ underbidder (l’ultima offerta prima dell’aggiudicazione) sia arrivata da Jean-Luc Baroni, un noto mercante e cono­scitore di disegni, fiorentino con base a Londra, che probabilmente presenziava per conto di un suo ricchissimo cliente. Ma alla fine il piccolo capolavoro del nostro Rina­scimento potrebbe essere sulla via di qual­che museo o fondazione privata statuniten­se.

Da Sotheby’s, ieri sera, un «Ritratto» di Rubens che sembra incompleto (perché è stato montato su un telaio più grande suc­cessivo) era stimato 4,5-6,5 milioni di euro. Ma è andato invenduto. Mentre un magnifi­co «Autoritratto» di Van Dyck dipinto nel 1640, un anno prima della sua morte, parti­to da 2,2 milioni di euro è stato battuto a 9,2 milioni.

Una cosa è certa. Come racconta Marco Voena, un altro mercante italiano con galle­ria nella City, i soldi ci sono e l’arte attira ancora. Ma la sala «è sempre più chirurgi­ca ». Le offerte piovono a raffica su capolavo­ri ben conservati. Meglio se inediti e rarissi­mi. Il resto fa più fatica. Da sempre il seg­mento degli Old Master non è facile. Richie­de molta prudenza, conoscenze specifiche e grande cultura. Per questo forse non è e continua a non essere granché di moda. Ep­pure negli ultimi mesi «c’è un forte atteggia­mento di tensione verso la serietà e la stabi­lità. Ragion per cui i capolavori dei grandi nomi antichi sono ricercatissimi».

 un po’ come se il mercato dell’arte cer­casse spasmodicamente dentro di sé gli in­visibili anticorpi per tornare a distinguere il vero dal falso, il bello dal brutto, la verità dalla menzogna. In una società e in un tem­po in cui la sovrapposizione assiologia nei giudizi regna sovrana e la confusione tra so­fista e filosofo, tra ricerca del consenso e del vero, è sempre più diffusa ecco che spunta il desiderio di avere certezze. Punti fissi. Costi quel che costi.

Filippo Lotti, di Sotheby’s, ha individua­to nelle aste più recenti la presenza massic­cia di tre tipologie d’acquirenti. I nuovi col­lezionisti spuntati dal nulla. E il ritorno di quelli «di rango» che da due o tre anni era­no meno attivi. Insieme ai grandi dealers europei. « vero – spiega – che il nostro mercato respira le condizioni di quello fi­nanziario. Ma non è mai omologabile a es­so, come certa stampa spesso lo presenta. Attualmente la formula vincente è ridurre il numero di opere e mantenere alta la qua­lità ». In fondo la pensava così anche Giu­lio II.