Marco Politi, il Fatto Quotidiano 9/12/2009;, 9 dicembre 2009
STATI GENERALI SU DIO. CON LUI O SENZA?
Riandando indietro ai suoi venticinque anni di episcopato nel giugno 2008, il cardinal Ruini fece autocritica. Confessò di avere pregato poco. Quasi un rammarico per essersi lasciato travolgere dagli impegni di guida dell’episcopato italiano e in ultima analisi dalla sua divorante passione politica. Libero da responsabilità di leadership, Ruini torna alla ribalta con una forte provocazione intellettuale. Riportare il discorso su Dio nella scena contemporanea. Per il porporato l’era attuale sta vivendo un singolare contrasto: ”Dio è sempre meno presente nella cultura dell’occidente, ma sempre più presente a livello mondiale”. Dunque è il momento di tornare a discutere della realtà fondamentale senza la quale la Chiesa non ha senso: il Dio ”salvatore e per sonale”. Così Ruini, che dirige il comitato Cei per il Progetto culturale, ha organizzato per domani a Roma (Auditorium di via della Conciliazione) una tre-giorni inedita con una schiera di nomi nazionali e internazionali, dai cardinali Bagnasco e Scola, a Massimo Cacciari e Emanuele Severino, da Rèmi Brague a Robert Spaemann. Sotto il titolo-sfida ”Dio oggi. Con Lui o senza di Lui cambia tutto”. Spiega lo storico Andrea Riccardi, leader di Sant’Eg idio, che un’iniziativa del genere sarebbe stata impensabile negli anni Settanta, ma oggi ”è finita la stagione dell’ateismo e dell’indif ferentismo ottimisti e animati da forza vitale”. Invece nel generale vuoto di orientamenti si avverte la mancanza di quell’energia vitale, che è la speranza, e allora ha senso che ”credenti e non credenti perplessi” si mettano alla ricerca del senso della vita e dello stare insieme. E’ anche l’opinione di Sergio Belardinelli: ”La società contemporanea è prontissima a un discorso serio su Dio”. Per il sociologo, che coordina il comitato per il Progetto culturale, c’è un bisogno straordinario di un ”Dio che interpella me”, un Dio che favorisce negli uomini la realizzazione di sé e garantisce amicizia. Il clima culturale odierno, dice, permette una discussione senza paraocchi tra atei e credenti, agnostici e diversamente credenti anche su temi forti come l’onnipotenza di Dio e il suo amore. Eppure la scarna realtà delle inchieste dimostra che l’idea di un Dio personale (così com’è delineato dalla tradizione ebraico-cristiana e anche musulmana) sta svanendo nelle nuove generazioni. In Spagna un sondaggio di qualche anno fa rivelò che metà della gioventù semplicemente non crede più in Dio. In Italia una recente indagine condotta in pieno accordo con le autorità ecclesiastiche dall’O sservatorio socio-religioso Triveneto, guidato da Alessandro Castegnaro, ha mostrato che oltre la metà dei giovani di Trieste, Venezia e Pordenone non crede al Dio cristiano ma piuttosto a una non meglio definita Realtà superiore. Altrettanto vacillante è la fede in Gesù Cristo figlio di Dio: ne sono veramente convinti un terzo a Trieste e Venezia e appena il 46 per cento a Pordenone. Il che rende debole la roboante retorica di quegli esponenti politici di centrodestra, che di giorno in giorno si riempiono la bocca delle imprescindibili ”radici cristiane”. Molti uomini di Chiesa sanno, d’altronde, che l’e cl i s s i del Sacro nella società contemporanea non deriva da supposti veti culturali quanto dall’esperienza che le realtà del mondo appaiono come opera dell’uomo e non come risultato di una Natura, che rimandi al Creat o re . In effetti nella letteratura del Novecento ”Dio come personaggio non c’è”, afferma lo scrittore Ferruccio Parazzoli, protagonista al convegno di Ruini. Sarebbe un errore cercare di ”m e t t e rc elo dentro” nell’opera di scrittori come Baudelaire o Gide, che manifestano semmai una ricerca dell’a s s o l uto, o di Mauriac e Bernanos, che esprimono un tormento dell’anima. Se Dio non è più personaggio della narrazione, cos’è rimasto? ”La nostalgia di Dio”, replica Parazzoli. Vale allora la pena porre la questione al teologo Giacomo Canobbio, già presidente dell’Associazione teologi italiani e uno dei relatori del convegno. E’ anzitutto possibile presentare il concetto di Dio all’uomo contemporaneo? Canobbio, che ha appena pubblicato con la Morcelliana un libro sull’anima, respinge la pretesa di definire con il nostro linguaggio una realtà che eccede le possibilità umane. Anche la tradizione, sostiene, ha usato in fondo metafore (padre, madre, compagno di viaggio, roccia, rifugio). Ma, pressato, Canobbio precisa: ”Direi che Dio è principio e fondamento e condizione di possibilità di tutta la realtà”. Non è un concetto troppo astratto per i contemporanei? Ribatte: ”L’uomo contemporaneo deve anche riabituarsi a pensare in astrazioni. Portare l’idea di Dio a dimensioni troppo reali conduce all’ov v i e t à ”. E tuttavia Canobbio ritiene che il discorso vada affrontato senza affidarsi a voli metafisici o raffinate disquisizioni teologiche. Si tratta di porre all’uomo e alla donna contemporanei due domande basilari: ”Come si spiega la tua stessa esistenza? E dove trovi un sostegno nell’esperienza dei tuoi limiti?”. Poiché alla fine tutti hanno il problema di non sentirsi disperati e di fare fronte alla minaccia di non essere più, spiega il teologo, il ”vero problema delle persone umane è Dio”. In questo senso si colloca la linea guida dell’attuale pontificato: Benedetto XVI ama sottolineare che ”compito della Chiesa è rendere Dio visibile agli uomini”. Non a caso il cardinale Ruini rimarca che riportare il Dio di Gesù Cristo nel contesto culturale odierno significa salvare la società dalla deriva nichilista, irrazionalista e individualista. Il filosofo Emanuele Severino, anche lui tra i partecipanti, conferma che gli ultimi due secoli (lo rimarcava amareggiato lo stesso Giovanni Paolo II) siano stati una grande lotta della scienza e della cultura moderna contro la Chiesa. Non soltanto ci si è allontanati dalla tradizione per cui Dio era al centro della società, ma ”il pensiero filosofico moderno è in grado di smontare le pretese della tradizione”. E qui cita Nietzsche e Bergson, Leopardi e Gentile. Considerare la disperazione dell’uomo come un ritorno alla situazione in cui Dio conta, sarebbe sbagliato. Nella loro vita quotidiana le masse cristiane sono ormai lontane dal Divino nella concezione dei rapporti sessuali e familiari, nella politica, nell’ar te. Non vale la controprova del revival religioso, che pure c’è. Severino è scettico: ”Il recupero di Dio ha chance apparenti, la modernità è vincente”. Poi il filosofo approfondisce la riflessione: ”Amici e nemici di Dio fondamentalmente sono più vicini di quanto appaia. Perché entrambi ispirati alla stessa Anima Nera: il nichilismo, per il quale le cose di per sé non sono niente”. Fra chi sostiene l’atto creativo di Dio oppure cita Monod secondo cui gli eventi sono casuali – insiste Severino – non c’è antagonismo irriducibile. ”In un caso o nell’altro le cose sono niente: prima non c’erano, domani esistono un po’, e poi svaniscono”.