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 2009  dicembre 09 Mercoledì calendario

Ottimi i protagonisti e Schrott eccellente ma spreco di simboli- MILANO – Qual camurria siano le edi­zioni critiche, con o senza le virgolette, si vede proprio per la Carmen , partitura martoriata come poche, come portasse i segni di tanti grandi e piccoli colpi di ra­soio dietro la schiena

Ottimi i protagonisti e Schrott eccellente ma spreco di simboli- MILANO – Qual camurria siano le edi­zioni critiche, con o senza le virgolette, si vede proprio per la Carmen , partitura martoriata come poche, come portasse i segni di tanti grandi e piccoli colpi di ra­soio dietro la schiena. L’altro ieri alla Sca­la è stata eseguita nell’ultima, quella di Robert Didion. Non tedierò il lettore con esempi sulle differenze fra una versione e l’altra. La precedente, e prima, «edizione critica» della Carmen venne curata da Fri­tz Oeser e sommersa da un’ondata da cri­tiche. Il più grande esperto bizetiano, Winton Dean, ne parlò come di «pseu­do- musicology». E qui vorrei esprimere la mia opinione: vengano, le edizioni criti­che, soprattutto a conforto dello studio­so, e per chi voglia eseguire l’Opera così com’è concepita la prima volta, ossia me­scidanza di musica e prosa, dialoghi par­lati. Non si commetterà un’infedeltà stori­ca: la Carmen fu scritta così e andò in sce­na così, la prima volta. Occorre aprire una parentesi storica sul presunto insuc­cesso dell’opera: di una cosa si può esser certi, l’attacco della critica musicale fu fe­roce e unanime. Gli argomenti adoperati furono due: esser la Carmen grigia, priva di colori (!), ed esser partitura wagneria­na (!!). Sul successo della sala, a parte un’ini­ziale fastidio (donne che fumavano in sce­na!), le testimonianze e le ricostruzioni sono contraddittorie, ma inducono a pro­pendere per l’idea di un successo. Chiudo la parentesi per dire la mia. L’ Opéra- comique , in tedesco Singspiel, mescidanza, ripeto, di musica e parti reci­tate, è un ibrido, un cane a due teste, che abbassa ogni quanto la tensione dramma­tica ed è esteticamente discutibile. Tant’è che nella Storia (non si parla di Operetta, beninteso!) l’unico caso di Singspiel rap­presentante una assoluta riuscita è Il rat­to dal serraglio di Mozart: e per motivi mi­steriosi afferenti a un mistero, il genio. Quanto più compatta e convincente appa­re la Carmen con i Recitativi sostituenti le parti parlate, i meravigliosi Recitativi (lo sostiene un altro mammasantissima bize­tiano nella Storia della Musica , Giulio Confalonieri) di Ernest Guiraud, che ac­compagnarono la Carmen fino alla «pseu­do- musicology» di Oeser. Non sono di Bi­zet, è chiaro: ma io imploro di dèi perché l’edizione Guiraud, i Recitativi di Guiraud non escano dal repertorio, vi restino co­me alternativa all’ Opéra- comique che prende sempre più piede. Oggi. Perché la gran parte del percorso storico della Car­men avvenne nell’edizione Guiraud. Ieri abbiamo detto gran bene della re­gia di Emma Dante. Oggi metteremo qual­che punto sulle i, a partire dalle scene di Richard Peduzzi, fastidiosamente insigni­ficanti: la prima è di una specie di piazzi­talismo con mattone, e uomini in coppo­la (non in basco) si sventagliano, com’è consuetudine spagnola. Io non ho letto le Note di regia della Dante, perché letture del genere ti conducono sempre nello sta­to d’animo di dire che Cristo non è Cri­sto. Ma pare di assistere a una mescidan­za (ancora!) fra geografie, Sicilia, Andalu­sia, Galizia. Fermo restando che quella della Dante è una grande regia, rilevere­mo in essa alcuni solecismi: i simboli­smi, che con la loro ingenuità, forse na­scente da mancanza di cultura, fanno ca­scare le braccia. Michela accompagnata sempre (simbolo) da un prete e due chie­richetti, la trasformazione della veste ne­ra in bianco (dal lutto al mariage), la sùbi­ta apparizione della madre di José sul let­to di morte... Ripetiamo che la musicalità naturale di Daniel Barenboim è un prodigio, ma in Carmen egli ha braccio talora pesante. La debuttante Anita Rachvelishvili ha ottima dizione francese e sano apparato vocale capace di produrre anche effetti tradizio­nali di diabolico eros, e lascia il segno col­la lettura delle carte. Michela, Adriana Da­mato, canta sul filo della voce con l’inge­nuità della coraggiosa quasi-bimba mes­saggera. Don José, Jonas Kaufman, offre una prestazione preziosa ove al franco e pulito squillo alterna effetti come il «pia­no » iniziale de La fleur que tu m’avais jetée da lasciarci senza fiato. Erwin Schrott è il più bel e più bravo Escamillo che abbiamo mai ascoltato: giovane, per giunta. Bravissimi, e non è clausola di sti­le, gli altri; ed è bello vedere come il coro del maestro Casoni se ne stia arroccato in lucidità e leggerezza.