Pierre de Nolac, Italia Oggi 09/12/2009, 9 dicembre 2009
Il Crocefisso vale villa Pamphilj - In Vaticano la polemica italiana sul crocefisso nelle aule scolastiche è sempre all’ordine del giorno
Il Crocefisso vale villa Pamphilj - In Vaticano la polemica italiana sul crocefisso nelle aule scolastiche è sempre all’ordine del giorno. Non solo per la sua valenza religiosa, perché esisterebbero pure dei motivi «terreni». Questo perché, come si ricorda nei palazzi della Santa Sede, all’epoca dei Patti Lateranensi la trattativa sui beni da attribuire alla Chiesa coinvolse anche la presenza dell’immagine di Cristo nelle scuole e l’insegnamento della religione cattolica. Nei musei Vaticani, a margine della presentazione di un importante volume dedicato alla storia dell’arte religiosa dopo la firma del Concordato (in copertina appare un singolare «Emblema pontificio» di Franco Angeli), i cultori degli archivi segreti hanno ricordato che Benito Mussolini, il quale era appena arrivato al potere, attraverso degli emissari iniziò a trattare con i rappresentanti della Chiesa con l’obiettivo di firmare un Concordato (e far dimenticare, nello stesso tempo, il ruolo dei Savoia). All’inizio si prospettò concretamente l’ipotesi che villa Doria Pamphilj, e una fascia intermedia tra essa e il Vaticano, venisse ceduta in uso perpetuo alla Santa Sede, con la possibilità di realizzarvi una serie di edifici. E per il soggiorno dei pontefici era stata richiesta un’altra residenza, situata fuori dal territorio romano: il palazzo Farnese di Caprarola, nel viterbese. Senza dimenticare che dal 1870, l’anno della conquista di Roma firmata dai Savoia, il Papa non era mai andato a soggiornare a Castel Gandolfo, nonostante la cosiddetta «legge delle Guarentigie» avesse assicurato a quel luogo le stesse immunità del Vaticano e del Laterano. Ma la marcia indietro vaticana circa queste due possibili «estensioni» delle pertinenze del piccolo stato avvenne grazie a una mossa di alta diplomazia: la rinuncia (in particolare al preziosissimo e strategico territorio della villa Pamphilj), fu il frutto di un cambio con la presenza del crocefisso negli istituti statali, oltre che degli insegnanti di religione. Anziani monsignori, oggi quasi centenari e presenti nelle case di riposo, dentro e fuori le mura della Santa Sede, rammentano con dovizia di particolari quelle indimenticabili trattative, oggetto per decenni delle discussioni tra cardinali e vescovi. Tema, a quanto pare, caro anche a Papa Benedetto XVI. E il regio decreto 965 del 1924, dove all’articolo 118 si parla del crocefisso e della sua esposizione al pubblico (accanto alla fotografia del re), spianò la strada ai Patti Lateranensi. Anche se nel testo portato alla firma di Mussolini non c’è traccia di mercanteggiamenti, gli archivi all’ombra della cupola di San Pietro, blindatissimi, a quanto si apprende conterrebbero moltissimi testi relativi ai passi compiuti dal Duce, a partire dal 1923, ben prima di quelli ufficialmente noti. E qui sorge il problema, al centro delle discussioni su un futuro possibile «sfratto» del crocefisso dalle scuole del Belpaese: poiché l’argomento non è una «concessione» italiana al vaticano, ma un vero scambio di beni (una straordinaria villa contro centinaia di migliaia di raffigurazioni di Gesù), non si può togliere il simbolo del cristianesimo senza pagare un dazio. In singoli incontri il problema è stato affrontato con alcuni esponenti del governo, per sottolineare il valore (non solo religioso) del crocefisso: e qualche passo è stato compiuto anche con dei rappresentanti dell’opposizione. Con poche parole, secondo le indiscrezioni, ma molto convincenti. Anche perché ci sono, eventualmente, altri terreni ed edifici che possono interessare il Vaticano.