Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 08 Martedì calendario

Non tollereremo oltre il furto degli articoli - In questo periodo, molti gruppi editoriali chiudono i battenti o riducono le proprie dimensioni

Non tollereremo oltre il furto degli articoli - In questo periodo, molti gruppi editoriali chiudono i battenti o riducono le proprie dimensioni. Sicuramente avete tutti sentito dire che il giornalismo è in una situazione disastrosa e che la colpa è dell’era digitale. Il mio messaggio è l’opposto. Il futuro del giornalismo è più promettente che mai ed è limitato solo da quegli editori e produttori che non sono disposti a lottare per difendere i propri bacini di lettori e spettatori, o da governi che usano la mano pesante imponendo regole eccessive o fuori mercato. Fin dall’inizio, la diffusione dei giornali è stata favorita da un solo fattore: la fiducia conquistata rappresentando gli interessi dei lettori e riportando notizie che siano importanti per loro. Ciò significa dare informazioni a livello locale, denunciare la corruzione di politici o imprenditori, resistere alle pressioni di ricchi e potenti. Oggi la tecnologia ci consente di fare tutto questo su scala molto più vasta. Possiamo raggiungere miliardi di persone che non hanno mai potuto contare su fonti d’informazione oneste e indipendenti e che ora hanno invece la possibilità di emergere nella società, di costringere i governi ad assumersi le loro responsabilità e di darsi da fare per soddisfare le proprie esigenze e realizzare i propri sogni. Ciò significa che ce la faremo tutti? Ovviamente no. Alcuni giornali e agenzie di notizie non si adatteranno alle nuove realtà digitali e falliranno. Ma non si potrà attribuire alla tecnologia la colpa di questi fallimenti. Il futuro del giornalismo appartiene agli audaci. Avrà successo solo chi saprà trovare modalità nuove e più efficaci per soddisfare le esigenze di spettatori, ascoltatori e lettori. Per prima cosa, i media devono dare agli utenti le notizie che vogliono. Ho visto tanti quotidiani con le redazioni tappezzate da attestati di premi giornalistici e con la tiratura in caduta libera. Questo mi dice che gli editori producono notizie per se stessi, non per i loro clienti. Il bene più prezioso di una testata giornalistica è la fiducia dei suoi lettori; la fiducia di poter ricevere le notizie che soddisfano le proprie esigenze e i propri interessi. Alla News Corp. lavoriamo da due anni a un progetto finalizzato alla trasmissione su dispositivi portatili di parte della nostra offerta televisiva e forse anche di contenuti giornalistici. Oggi i consumatori di notizie non vogliono essere costretti a stare a casa o in ufficio per fruire di notizie e spettacoli e il nostro progetto intende soddisfare le loro esigenze di mobilità. Lo stesso vale per i giornali. Un numero crescente dei nostri lettori usa diverse tecnologie per fruire dei nostri contenuti in diversi periodi della giornata. Per esempio, leggono il Wall Street Journal sul BlackBerry mentre si recano in ufficio; lo leggono al computer quando vi arrivano; e lo leggono su un e-reader ovunque si trovino. Il secondo punto è un corollario del primo: i contenuti di qualità non sono gratuiti. In futuro, il buon giornalismo dipenderà dalla capacità dei media di attirare lettori offrendo notizie e informazioni per i quali siano disposti a pagare. Il vecchio modello imprenditoriale basato soprattutto sulla pubblicità è defunto. Guardiamo in faccia la realtà: un modello che faccia affidamento soprattutto sulla pubblicità online non può sostenere un giornale nel lungo periodo. Il motivo è aritmetico: anche se la pubblicità online è in crescita, copre solo un frazione della perdita di pubblicità sulla carta stampata. Questo non cambierà, neanche in caso di forte espansione, perché il vecchio modello era basato su semi-monopoli, come gli annunci economici, oggi decimati da concorrenti a buon mercato come Craigslist o Monster. In futuro faremo pagare ai consumatori le notizie che forniremo sui nostri siti internet. I critici sostengono che gli utenti non vogliono pagare. Io sostengo il contrario, ma dovremo dare contenuti utili e di qualità. I nostri clienti sono abbastanza intelligenti da sapere che non si può avere qualcosa in cambio di niente. Questo vale anche per alcuni dei nostri amici online. C’è chi ritiene di avere diritto a prendere le nostre notizie e utilizzarle per i propri scopi senza dare il benché minimo contributo alla loro produzione. C’è chi riscrive, a volte senza citare la fonte, gli articoli di giornalisti di prestigio che nella loro stesura hanno investito giorni, settimane e perfino mesi. Queste persone non investono nel giornalismo. Approfittano invece degli sforzi e degli investimenti altrui. E quello che fanno con i nostri articoli rappresenta un autentico furto. Attualmente i creatori di contenuti sostengono tutti i costi, mentre i benefici sono condivisi da molti altri. Questa situazione non può durare. Siamo aperti a diverse soluzioni di pagamento, ma il principio è chiaro: per parafrasare un famoso economista, non esiste un articolo giornalistico gratuito, e noi chiederemo un prezzo modesto ma equo per nostri i prodotti. Infine, un commento sul governo. Negli ultimi 20-30 anni, abbiamo visto emergere nuove piattaforme e opportunità che nessuno aveva previsto: i social network, l’iPhone e il BlackBerry, ma anche i siti internet per giornali ed emittenti radiotelevisive. E siamo solo all’inizio. Il governo ha un ruolo in tutto questo. Troppo spesso Washington disciplina il settore dell’informazione in base a modelli risalenti al secolo appena trascorso. Se siamo veramente preoccupati della sopravvivenza dei giornali e di altri media, la cosa migliore che il governo possa fare è liberarsi delle regole arbitrarie e contraddittorie che al momento frenano gli investimenti in questa industria. Un esempio di mentalità obsoleta è la norma che impedisce a un imprenditore di possedere, ad esempio, una stazione televisiva e un quotidiano nello stesso mercato. Molte di queste regole sono state scritte quando la concorrenza era limitata a causa degli enormi costi di gestione. Oggi il concorrente di un quotidiano non è necessariamente una stazione televisiva della stessa città. Può essere un sito web dall’altra parte del mondo o addirittura un’icona sul cellulare. Questi sviluppi significano maggiore concorrenza, e questo è un bene per i consumatori. Ma, come già fanno le imprese, anche i governi devono adattarsi alle nuove realtà. In questa nuova situazione di concorrenza globale, le restrizioni alla proprietà dei media non hanno più senso, come non l’avrebbe vietare ai quotidiani di avere il proprio sito web. A mio parere, questo suonare la grancassa sempre più forte per ottenere dallo Stato contributi a favore dell’editoria è preoccupante tanto quanto l’eccessiva regolamentazione. Un’idea che sta diventando sempre più popolare è quella di utilizzare il denaro dei contribuenti per finanziare i giornalisti. Oppure quella di concedere ai giornali la qualifica di «no profit», in cambio, si capisce, della loro rinuncia a sostenere questo o quel candidato politico. Il problema peggiore con gli aiuti statali è esattamente quello che abbiamo visto con il salvataggio dell’industria automobilistica americana: gli aiuti tengono in vita produzioni che non interessano ai consumatori. L’idea che il governo degli Stati Uniti debba essere direttamente coinvolto nel giornalismo commerciale dovrebbe far rabbrividire chiunque abbia a cuore la libertà di parola. I Padri Fondatori sapevano che l’elemento fondamentale dell’indipendenza era consentire alla libera impresa di prosperare e fungere da contrappeso al potere dello Stato. proprio perché i giornali sono attività svolte con fini di lucro e non dipendono dal governo per la propria sopravvivenza che essi dispongono delle risorse e dei mezzi con cui chiedere al governo di rispondere delle proprie azioni. Quando i rappresentanti delle 13 ex colonie britanniche crearono un nuovo ordine destinato a durare nei secoli, stabilirono anche la solida base sulla quale doveva poggiare, vale a dire una cittadinanza libera e informata. Erano consapevoli del fatto che una cittadinanza informata ha bisogno di ricevere notizie non controllate dal governo. Questo è uno dei motivi per cui il Primo Emendamento è appunto il primo. Il mondo moderno si muove a ritmi molto più elevati e complessi rispetto alla fine del diciottesimo secolo. Ma la verità fondamentale è sempre quella: per prendere decisioni informate, uomini e donne liberi hanno bisogno di notizie oneste e affidabili sugli eventi che possono influenzare il loro paese e la loro vita. Che il giornale del futuro sia distribuito in forma elettronica o su un supporto prodotto con gli alberi in ultima analisi è del tutto irrilevante. Ciò che è veramente importante è che il settore dell’informazione rimanga libero, indipendente e competitivo.