Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 10 Giovedì calendario

AGNESE CODIGNOLA PER L’ESPRESSO 10 DICEMBRE 2009

Dolore: scoperto il fattore P Nasce dall’infiammazione dei nervi. Dal logorarsi di articolazioni. Dal sistema immunitario che va in tilt. Ma corre sempre lungo i circuiti dei peptidi. La chiave per terapie mirate

C’è quello dovuto all’età, che consuma articolazioni e cartilagini. Quello di neuropatico, che nasce dall’infiammazione di un nervo. Quello provocato da un attacco autoimmune, intenso e invalidante. E quello di origine sconosciuta, spesso diffuso, il più difficile da capire e da curare. Non esiste un solo tipo di dolore, perché il dolore è quasi sempre un sintomo (diventa una malattia a se stante soltanto nei casi più gravi quali, per esempio, le fasi terminali di un tumore), e capire da che cosa sia causato seguendo un iter sensato non è facile, neppure per i medici. Ma qualcosa sta finalmente cambiando, perché oggi il ’male’ è un’entità molto meno misteriosa rispetto a qualche anno fa, e molti studi indicano una nuova e sorprendente strada.
Spiega Fabio Benfenati, ordinario di fisiologia dell’Università degli studi di Genova, da anni in prima fila nello studio dei meccanismi che regolano la trasmissione degli impulsi nervosi: "La parola d’ordine è peptidi. Negli ultimi anni si è capito che diversi peptidi, frammenti di proteine il cui ruolo sul sistema nervoso era dimostrato ma non compreso fino in fondo, modulano l’azione dei neurotrasmettitori classici quali la serotonina e la noradrenalina in diverse situazioni fisiche quali le infiammazioni, ma anche psicofisiche quali lo stress. Accanto a ciò, si è visto che alcuni farmaci che agiscono sui peptidi possono essere efficaci sul dolore".
Gli indizi che collegano la sensazione di dolore all’azione di queste molecole del sistema nervoso sono molti: c’è un peptide chiamato Cgrp, liberato a livello periferico, che provoca infiammazione; e un altro, chiamato ’sostanza P’, prodotto dall’organismo, che è fondamentale nella regolazione del dolore; è poi nota l’azione degli analgesici prodotti dall’organismo, le endorfine, peptidi anch’essi, così come è dimostrato che lo stress attiva il rilascio di vari peptidi e che sotto stress lo stimolo doloroso è avvertito molto meno.
Accanto alle osservazioni di quanto avviene a livello fisiologico, ci sono gli studi specifici: di recente, i ricercatori della Duke University hanno dimostrato che il dolore alle giunture tipico delle persone obese può non essere causato soltanto dal peso eccessivo che grava su di esse. Se infatti si blocca uno dei peptidi fondamentali dell’appetito, la leptina, il dolore scompare. E nei giorni scorsi è stato pubblicato su ’Lancet’ uno studio che dimostra l’efficacia, nel dolore neuropatico, della gabapentina, farmaco che agisce proprio sui peptidi. Il quadro che sta emergendo è in sostanza molto complesso e descrive rapporti chimici nuovi tra dolore, infiammazione e stress, e mette in campo molecole utilizzate di solito per agire sulla sfera emotiva, lasciando così intravvedere nuove possibili vie di cura.
Giuseppe Lauria, dell’Unità operativa di malattie neuromuscolari e neuro-immunologia dell’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano, però, specifica: "Il punto vero, tuttavia, è un altro: capire la causa del dolore". Semplificando, si può affermare che esistono tre grandi famiglie di cause: quelle più prettamente neuromuscolari, di cartilagini e giunture quali, per esempio, l’artrosi; quelle neurologiche quali, per esempio, il dolore del trigemino, il tunnel carpale, le patologie dei dischi e così via fino al dolore neuropatico più intenso dato per esempio dal diabete o a quello ancora misterioso della fibromialgia; e quelle originate da un’infiammazione cronica di tipo autoimmune, cioè da attacchi del sistema immunitario a strutture self, quali quelli dati dall’artrite reumatoide, dal lupus, dalle connettiviti e così via.
"Di recente", chiarisce Lauria, "l’International Association of Study on Pain ha rivisto le Linee guida indicando due passaggi imprescindibili per la diagnosi e le decisioni seguenti: trovare la sede della lesione, e comprendere da che cosa è causata. Sembra un modo di procedere scontato, ma ciò che vediamo ogni giorno ci dice che, purtroppo, così non è". Il neurologo fa riferimento ai molti pazienti che giungono alla sua osservazione a volte dopo mesi o anni di tentativi errati e molti tipi di farmaci ingurgitati e interventi di ogni tipo consigliati senza un criterio a causa di diagnosi errate e di quella che Lauria non esita a definire malpractice di molti medici non specialisti.
Perché ogni tipo di dolore richiede un approccio specifico. Così, se si tratta di una cartilagine o di una struttura muscoloscheletrica danneggiata, ci si deve rivolgere a un reumatologo, che potrà indirizzare verso gli esami specifici. Se invece si sospetta un dolore neuropatico, la strada è diversa. Spiega ancora Lauria, che ha messo a punto la biopsia cutanea, una tecnica diagnostica ormai usata in tutto il mondo per accertare la presenza di un danno nelle terminazioni nervose (vedi box qui sotto): "La diagnosi, in questi casi, deve prevedere sempre un colloquio approfondito, perché la depressione può giocare un ruolo importante: basti pensare che due terzi di chi soffre di depressione somatizza, in un caso su due prova dolore. Molti medici hanno timore di parlare di questi aspetti, ma non dovrebbero: il fatto che il dolore abbia anche un’origine psicosomatica non modifica la necessità di curarlo né le sue caratteristiche chimiche".
Dunque, esiste a livello neurologico un collegamento tra le molecole coinvolte negli stati emotivi e l’insorgenza del dolore, che però non sinifica chiamare in causa la psicosomatica tout court. Come spiega Tomas Hökfelt, direttore del dipartimento di neurologia del Karolinska Institute di Stoccolma, autore di alcune delle principali scoperte sui peptidi: "Nell’uomo il legame tra il dolore cronico e la depressione è noto da tempo: più del 50 per cento delle persone con dolore hanno anche una depressione, e quando la depressione si è risolta, il dolore resta nel 90 per cento dei casi. Non a caso si sta iniziando a pensare che le terapie cognitivo-comportamentali che spesso vengono inserite nei protocolli di cura abbiano un effetto diretto sui neurotrasmettitori, che prescinde da quello prettamente psicologico".
Ecco allora una nuova possibile strada terapeutica. Come spiega Lauria: "Quando è necessario si ricorre ai farmaci tra i quali gli antidepressivi classici come l’amitriptilina o più nuovi come la duloxetina e i cosiddetti Gaba pentinoidi, che modulano il sistema dei peptidi. Quanto a questi ultimi, non si sa ancora nel dettaglio come agiscano, ma è indubbio che sono accolti meglio dai pazienti rispetto agli antidepressivi o agli antiepilettici classici come la carbamazepina. Per quanto riguarda l’efficacia, gli studi compiuti non portano sempre a conclusioni univoche, ma si può dire senz’altro che sono più attivi del placebo". Tanto che l’Agenzia Italiana del Farmaco ne ha esteso le indicazioni, includendo forme di dolore neuropatico originariamente non previste.
Diverso è il caso del dolore provocato da una malattia autoimmune quale l’artrite reumatoide, il lupus, le spondiliti, le vasculiti e altro. Spiega Carlomaurizio Montecucco, direttore della Scuola di specializzazione in reumatologia dell’Università di Pavia e presidente della Società italiana di reumatologia: "La storia di queste gravi malattie è radicalmente cambiata negli ultimi anni, grazie all’introduzione di farmaci molto attivi quali il micofenolato, la leflunomide (immunosoppressori) e le nuove molecole biologiche quali abatacept, tocilizumab, anakira (modulatori delle citochine e delle interleuchine), ancora, i prostanoidi, gli inibitori dell’endotelina e quelli delle fosfodiesterasi". Si tratta di sostanze potenti e che agiscono sulle cause, cioè sui mediatori che regolano le infiammazioni croniche tipiche delle patologie autoimmuni, assicurando una qualità di vita assai migliore rispetto a qualche anno fa, e in molti casi anche un rallentamento della progressione della malattia.
Ma non solo: sempre di più emerge che all’origine di molte sintomatologie dolorose ci possono essere anche infezioni da virus e batteri, contro le quali si deve iniziare a ragionare anche in chiave antalgica, e che altri dolori quali quello da osteoporosi possono essere combattuti efficacemente con i bifosfonati o altri farmaci quali il ranelato di stronzio e la teriparatide. Ancora una volta, il modo migliore per trovare il farmaco giusto è partire da una diagnosi giusta, per la quale è necessario rivolgersi a un centro di reumatologia. In Italia ce ne sono almeno una trentina di universitari e una ventina di ospedalieri; in alcuni di essi sperimentano anche le terapie più innovative.