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 2009  novembre 07 Sabato calendario

La mafia che spara è alla disfatta, oramai più alla ricerca di se stessa che di un capo. ridotta male, non ha più soldi, sopravvive di estorsioni

La mafia che spara è alla disfatta, oramai più alla ricerca di se stessa che di un capo. ridotta male, non ha più soldi, sopravvive di estorsioni. La mafia che pensa è nascosta, al riparo, intrecciata con il potere di Palermo e ancora impastata con pezzi di servizi segreti, gli stessi di Capaci, del tritolo dell´Addaura, di Borsellino. Spioni che sono sospettati di avere partecipato con i boss alle stragi palermitane del 1992. mafiosiNY gianni nicchi nicola mandala rep03 C´è una mafia che sta scomparendo, c´è l´altra che cerca di superare una lunga stagione di trapasso e d´incertezze politiche. in ginocchio l´ala militare ma è sempre viva l´´intelligenza´ di Cosa Nostra, un"´intelligenza collettiva", patrimonio di alcuni personaggi che sono rintanati da qualche parte a fare sempre i loro patti e i loro ricatti. questa la nuova frontiera mafiosa siciliana. Dopo la cattura di tutti i latitanti più famosi - fuori è rimasto soltanto il trapanese Matteo Messina Denaro - è come se l´organizzazione criminale fosse spaccata in due. Anzi, in tre tronconi. I sicari e i quadri medi di Cosa Nostra, che uno ad uno sono stati presi. Poi quegli altri che disegnano strategie, che conoscono la politica e che sono liberi di spadroneggiare, sempre dentro i palazzi della Regione e sempre in contatto con apparati dello Stato. E poi ancora i grandi boss finiti in galera negli Anni Novanta, quelli sepolti dagli ergastoli. Le ultime prove di Cupola si sono fatte nemmeno un anno fa. Ma prima di raccontarvele, cominciamo con quel che è successo e con un fatto che ha sempre la sua importanza: oggi, dicembre 2009, formalmente il capo di Cosa Nostra è ancora Totò Riina. sempre lui - dal giorno del suo arresto (15 gennaio 1993), la Cupola, il governo di Cosa Nostra, non si è mai più riunita - a guidare la compagnia. mafiosiNY gianni nicchi fid rep01 mafiosiNY gianni nicchi nicola mandala rep04 Dopo di lui ha retto il destino dell´organizzazione per tredici anni - ma senza diventarne mai realmente il capo - Bernardo Provenzano (arrestato l´undici aprile del 2006), poi sono stati catturati in un solo colpo sedici fra capimandamento e capifamiglia palermitani fra i quali Nino Rotolo (giugno 2006), poi ancora è toccata a Salvatore Lo Piccolo (dicembre 2007) e al suo esercito della Piana dei Colli. Il 15 novembre 2009 l´arresto di Domenico Raccuglia, ieri l´altro quello di Gianni Nicchi. Non c´è più nessuno che comanda davvero nelle borgate di Palermo. una crisi profonda. Peggio che nel ”63, quando alla fine della prima guerra di mafia alcuni boss volevano addirittura «sciogliere» l´organizzazione e molti di loro emigrarono nelle Americhe. Ecco quello che è accaduto appena undici mesi fa. A Palermo, tre uomini d´onore, avevano pensato di rifondare la Cupola. Le loro conversazioni, intercettate dai carabinieri, sono l´ultimo documento disponibile sulle grandi manovre dentro Cosa Nostra. Tutte le voci parlavano di «un´armonia da trovare per non fare la fine dei Napoletani, ognuno per conto suo». La Cupola, la volevano rimettere in piedi Giuseppe Scaduto, capomandanento di Bagheria, Salvatore Adelfio e Benedetto Capizzi della famiglia di Villagrazia. L´ordine per quel progetto era arrivato probabilmente dal carcere di Opera: da Totò Riina. Diceva Scaduto: «Ci mettiamo insieme, quattro o cinque o sette cristiani come si faceva una volta e la responsabilità ce la prendiamo tutti...Però facendo il conto, noialtri, quelli che possiamo prendere cristiani belli sistemati, possiamo essere una cinquina, se ci siamo..». Diceva Capizzi: «C´è decadenza morale negli uomini d´onore, prima avevamo l´onore ora è vergogna». Una «cinquina», cinque boss in tutta Palermo che avrebbero potuto rifare la Cupola. Anche loro sono stati presi. Dopo un anno, Cosa Nostra militare è ancora più sfasciata di prima. C´è però l´altra Cosa Nostra che è sempre integra, che decide sotto traccia, in silenzio. Raccontano a Palermo che ci sono «sei o sette personaggi», tutti liberi, «che sono quelli che oggi comandano». Alti burocrati della Regione legati ai boss della Cupola in carcere, commercialisti famosi, ex uomini politici di medio livello e di una certa notorietà che hanno sempre avuto agganci con la mafia che spara, un avvocato, un paio di ingegneri che sono i ras degli appalti pubblici. giovanni brusca Tutti loro sono in contatto - almeno dal 1992 - con uomini dei «servizi», trafficanti internazionali, banchieri, maestri della massoneria segreta. I nomi di questi personaggi a Palermo vengono appena sussurrati. Fanno paura come una volta faceva paura Totò Riina. Poi ci sono quelli di confine, quelli che stanno su una pericolosa linea grigia. Misteriosi uomini che si aggirano oggi per i palazzi del potere siciliano. Uno si chiama Gaspare Rino Lo Nigro, è il direttore dell´Agenzia regionale per l´impiego. Influente, temuto. Quando il 15 novembre hanno arrestato Domenico Raccuglia, al boss hanno trovato fra le sue cose anche una busta con dentro il foglio di un giornale con la foto di Lo Nigro. silvio brusca Un passato di assessore comunale nella Dc a Palermo, una breve esperienza al seguito del sottosegretario agli Interni Ferdinando Russo, il suo nome per la prima volta lo fece Giovanni Brusca al processo Andreotti: «Attraverso Lo Nigro, mio fratello Emanuele aveva saputo che il giudice Carnevale non avrebbe più presieduto il maxiprocesso». Lo stesso Brusca sospettava che lui, Lo Nigro, fosse l´autore di quell´anonimo scritto fra la stragi di Capaci e quella di via D´Amelio, otto pagine che in sostanza erano la bozza del famoso papello. In anni più recenti, il 2005, due mafiosi facevano riferimento proprio al papello e lo collegavano al nome del superburocrate della Regione. Gaspare Rino Lo Nigro si è sempre dichiarato «totalmente estraneo» a tutte queste vicende. Un altro dei personaggi di confine si chiama Antonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, assolto per mafia una decina di anni fa e condannato per traffico di stupefacenti. Vaccarino, che è anche lui di casa da qualche mese nelle stanze alte della Regione, per anni è stato in contatto epistolare con Matteo Messina Denaro, il latitante di Trapani. Si scrivevano lunghissime lettere, Vaccarino si firmava «Svetonio» e Matteo Messina Denaro era invece «Alessio». L´ex sindaco ha buoni amici nel servizio segreto civile. Un piede di qua e l´altro di là. forse scritto in questi vincoli, il futuro prossimo della Sicilia più indicibile. [07-12-2009]