Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 06 Domenica calendario

Nemici del popolo nascosti tra i papà- Uscito nel Regno Unito nel 2007 con un titolo bellissimo The whisperers, i sussurranti, pubblicato in altri ventuno paesi - ma non ancora in Russia - arriva in Italia l’ultimo libro di Orlando Figes con Mondadori, Sospetto e silenzio, vite private nella Russia di Stalin (࿬ 38, pp

Nemici del popolo nascosti tra i papà- Uscito nel Regno Unito nel 2007 con un titolo bellissimo The whisperers, i sussurranti, pubblicato in altri ventuno paesi - ma non ancora in Russia - arriva in Italia l’ultimo libro di Orlando Figes con Mondadori, Sospetto e silenzio, vite private nella Russia di Stalin (࿬ 38, pp. 647). Figes, cinquant’anni, inglese, è uno dei principali storici del comunismo sovietico. Sospetto e silenzio ha richiesto cinque anni di lavoro e la preparazione di una vita. la raccolta di decine di testimonianze di donne e uomini russi dal 1917 al 1991, delle loro esistenze, delle loro morti, dei parenti arrestati, del Gulag, della vita nelle case comuni, della repressione dei kulak, dell’annientamento degli uomini a opera della infernale burocrazia staliniana. Ma è soprattutto un magnifico, travolgente e appassionato affresco del modo in cui il potere comunista distrusse alcune decine di milioni di famiglie, attraverso lo smantellamento del sistema sociale nella campagna contadina e nelle grandi comunità urbane, e poi attarverso la disgregazione dell ’unità domestica con l’uso della delazione famigliare e della subordinazione di tutti i rapporti personali e affettivi alla ragione superiore del partito: questo accadde principalmente negli anni Venti e Trenta. Al centro del racconto di Figes c’è la relazione tra un nuovo potere che si afferma, con la sua astrattezza irragionevole e furiosa che coinvolge gli uomini, e l’intimità basica - con tutte le sue gradazioni di pace, amore o anche qualche volta infelicità - della famiglia. Se ne raccontano decine. Famiglie contadine, come quella di Antonina Golovina con cui si apre il libro. I Golovin, kulak della Russia settentrionale, negli anni Trenta vennero spediti in Siberia, sotto la spinta persecutoria di un ex famiglio diventato capo locale del partito, Kolja Kuz’min. Ecco come Antonina racconta a Figes la partenza dal villaggio di Obuhovo: «Mamma mi avvolse in uno scialle di lana, ma Kolja Kuz’min, che era venuto per sovrintendere alla nostra espulsione, ordinò di toglierlo, dicendo che anch’esso era stato confiscato. Non ascoltò le implorazioni di mamma per il clima freddo e il lungo viaggio che ci aspettava ... Ricordo il muro grigio di persone silenziose che ci guardava andare ... Mamma si congedò dalla folla. "Donne perdonatemi se vi ho offeso" disse inchinandosi e facendosi il segno della croce. Poi quando si fu seduta nel carro, partimmo. Ricordo le facce degli astanti. Erano nostri amici e vicini, le persone con cui ero cresciuta. Nessuno ci avvicinò. Nessuno ci salutò. Stavano lì in silenzio, come soldati in riga. Avevano paura». Negli anni Sessanta, quando la famiglia Golovin si fu ricostituita, i genitori di Antonina - entrambi sopravvissuti al Grande terrore, alla seconda guerra mondiale e al piccolo terrore dell ’inizio degli anni Cinquanta - perdonarono Kolja, attribuendo all’assurdità del loro tempo l’inimicizia e la violenza dell’ antico protetto. L’odio di classe verso i kulak - contadini ricchi, cellula della società agraria non più feudale, e di uno spirito imprenditoriale che negli anni della Nep, la nuova politica economica che reintroduceva parzialmente la proprietà privata, riaffiorava in un miscela di agricoltura commercio e artigianato - fu scatenato dal regime staliniano perché erano i contadini, con i loro antichi valori russi, i veri nemici di un regime ancora giovane. Fu distrutto e smembrato tutto ciò che restava dei residui delle vecchie classi dirigenti zariste sopravissute alla rivoluzione, la burocrazia, le famiglie degli ufficiali e quelle dell’aristocrazia che non era scappata nel’ 17. Figes ricostruisce la storia affascinante e supersimbolica di Kostantin Simonov - figlio di una Aleksandra Oblenskaja, di famiglia principesca minore - il quale passerà la sua vita prima a rimuovere il suo passato famigliare, a espiarlo non solo a causa degli arresti di molti parenti, ma soprattutto con la costruzione di un nuovo sé stesso perfettamente proletario e comunista, pioniere e komsomolista modello. Successivamente, da adulto, incarnò l’ideale dell’alto dirigente del Pcus staliniano. Figes entra in contatto con l’archivio di casa Simonov grazie alla conoscenza con il primogenito di Kostantin, Aleksei, e ricompone il romanzo famigliare di Simonov: il rapporto con la famiglia della sua seconda moglie Zenja, mamma di Aleksei, i Laskin commercianti ebrei; la sua carriera di giornalista di guerra, di poeta (è l’autore di una poesia che diventa mitica negli anni della guerra, Aspettami, la preghiera sentimentale di un soldato alla sua fidanzata, in cui un’intera generazione di russi sovietici si identificherà); di drammaturgo prediletto da Stalin, di uomo del potere culturale vicesegretario dell’unione degli scrittori, di dandy comunista, con il corredo di quattro mogli - tra cui la bellissima Valentina Serova, diva del cinema a cui Aspettami era dedicata - tre figli, amanti innumerevoli, vestiti inglesi, viaggi di rappresentanza all’estero, pipe costose à là Stalin, limousine, dacia, personale di servizio; e una immancabile conversione tardiva a una forma di conservatorismo che cerca di tenere insieme russianesimo ed entusiasmo degli anni Trenta, passione politica, rispetto per la storia (anche personale) del comunismo e senso del dovere aristocratico trasferitogli dalla madre: il tutto annegato nel disprezzo del perfetto staliniano che era stato, del ruolo dell’intellettuale di regime, e nella revisione della figura del dittatore e della tragedia in cui si consumarono i suoi venticinque anni di potere assoluto.  un libro di storie, sempre terribili, spesso romantiche, tenute insieme dallo squallore permanente che si insinua in biografie drammatiche. C’è la storia dei coniugi Bonner, arrestati e uccisi nel Grande Terrore del 1938 e il piccolo Bonner che dice a sua sorella: «Pensa un po’ che razza di nemici del popolo esistono. S’intrufolano persino tra i papà». C’è la storia di Volodjia Djakonov che accusa di una falsa accusa la sua collega Evgenjia Ginzburg e le dice: «Perdonatemi Zenja, mi è appena nata una figlia. Non posso rovinarmi». Negli anni del Grande terrore, molta gente passava la notte ad aspettare l’arresto. Una ragazza del 1937, racconta di quando una notte una sua amica tornò a casa tardi da una festa: «Non poteva fare altro che suonare il campanello e svegliare i suoi genitori. Non rispose nessuno per molto tempo, quindi suonò una seconda volta. Udì dei passi e la porta venne aperta. C’era suo padre, vestito di tutto punto, come se non si fosse nemmeno coricato ma fosse appaena entrato o sul punto di uscire di nuovo. Indossava un abito scuro, una camicia pulita, una cravatta annodata con cura. Nel vedere la figlia la fissò in silenzio e poi, sempre senza dire una parola, la schiaffeggiò». Jiulija e Osip Pjatnickij vivevano nella famosa casa sul lungo fiume, dove i vertici del partito avevano diritto ai conforti borghesi della nuova classe dirigente ma erano sottoposti alla spietata vigilanza della polizia politica. Pjatnickij era un eroe della rivoluzione, veterano bolscevico e intimo di Lenin. Fu arrestato nelluglio del 1937 accusato di essere trockista. Lei, Julija, fu arrestata nell’ottobre del 1938. I due figli, uno andò in orfanotrofio, l’altro più grande arrestato anche lui. Morì da sola nel dicembre del 1940, di freddo, fame, febbre, sdraiata sul terreno gelato in un recinto di pecore nel campo di Karanganda. Fu sepolta lì. Suo figlio Igor seppe la verità sulla morte orribile di sua madre solo nel 1986. Mentre il partito distruggeva la società, il popolo fiducioso aspettava che ne sorgesse una nuova in una proiezione irreale. Racconta Ljumila El ’jasova di Leningrado, a proposito dei suoi anni Trenta: «Eravamo tutti educati ad aspettarci un futuro felice. Ricordo quando mia sorella ruppe la nostra bambola di porcellana preferita: non avevamo i soldi per comprarne un’ altra, ma andammo ai grandi magazzini dov’ erano esposte delle bambole e Marksena disse: "Quando ci sarà il comunismo avremo quella". Ci immaginavamo il comunismo come un’ epoca, che avremmo avuto modo di vedere nell’ arco della nostra vita, in cui tutto sarebbe stato gratuito, e ognuno avrebbe avuto la miglior vita possibile. Eravamo felici di aspettare un futuro così bello». Questo futuro non arrivò mai. Le testimonianze raccolte da Figes dicono che per i russi, la fase più felice dello stalinismo fu la guerra. Quando lo sfilacciamento della società si ricompose sottoforma di cameratismo e di patriottismo nella difesa della Russia aggredita dai tedeschi. Dopo 130 anni Hitler era Napoleone e Zukov, subentrato a una gestione inefficace dell’ esercito dei commissari politici, un nuovo Kutuzov. Ma la guerra aprì un’altra fase tragica per le famiglie. Già decimate dalla repressione dei kulak e dal Grande terrore, furono divise dal fronte che arretrava e dallo spostamento nelle retrovie di tutti gli impianti produttivi di sostegno all’Armata Rossa. TI lavoro coatto dei prigionieri politici fu decisivo per le sorti del conflitto. E la vittoria restituì fiducia alla società. Ma lo stalinismo riprese i suoi automatismi a difesa della sua autoreferenzialità. I capi dell’esercito, a cominciare da Zukov, vengono eliminati dai posti di comando. TI paese si chiude agli stranieri. Torna al centro del racconto di Figes, Simonov, il quale partecipa all’epurazione dei letterati cosiddetti cosmopoliti. Nelle famiglie la finzione diventa consuetudine, l’individuo diventa personaggio, e anche nelle conversazioni tra coniugi il sussurro degli anni del Terrore è diventata una falsificazione permanente delle idee, dei sentimenti, degli stati d’animo. Racconta un testimone: «L’arte del teatro praticata su scala così di massa non è un fenomeno frequente nella storia del genere umano». I figli continuano a non raccontare come sono morti i genitori, a non rivelare che erano stati arrestati o uccisi come nemici del popolo negli anni Trenta per non perdere i privilegi scolastici e universitari, a fingere nei questionari. Dice Vladimir Vlasov: «Mia sorella maggiore mi aiutò a preparare degli appunti che consultavo per essere sicuro di dare ogni volta la stessa risposta». Tutta questa complicata, macchinosa vita bugiarda e spaventata dura con l’alternanza delle leadership (a Kruscev succede il restauratore Breznev) fino alla fine del regime. E tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta che i russi cominciano a riappropriarsi della memoria e dell ’identità singolarmente e collettivamente. Ed è in quella finestra di anni che Figes comincia a raccogliere le testimonianze che sono organizzate in Sospetto e silenzio. Simonov è morto nel 1979 , prima della glasnost. Antonina Golovina, che ha aperto il libro con il suo addio a Obuhovo, lo chiude con l’accettazione di sè e della sua storia e con un pianto liberatorio il giorno in cui - era la seconda metà degli anni Novanta - riuscì a dire ad alta voce di essere figlia di kulak. «Era la prima volta che pronunciavo quelle parole a voce alta, anche se nella testa me le ero ripetute migliaia di volte. Non c’era nessuno intorno che mi sentisse. Ero sola su una strada deserta. Ma ciò nonostante ero orgogliosa di averlo detto, finalmente. Scesi in riva al fiume e mi lavai nell’acqua. E poi recitai una preghiera per i miei genitori».