Luca Raffaelli e Michele Serra, la Repubblica 6/12/2009, 6 dicembre 2009
LUCA RAFFAELLI
Non è vero che è tanto difficile ricordarsi tutti i sette nani. Basta un po´ di metodo: bisogna ad esempio seguire l´ordine alfabetico saltando alcune lettere, come la prima. Poi è facile: Brontolo, Cucciolo, Dotto, Eolo, quattro tutti di fila. Poi si salta la F e si arriva a Gongolo. Poi via l´H, la I e la L ed ecco Mammolo. Via la N e la O e arriviamo a Pisolo. Finito: sono tutti e sette. La stessa operazione risulta ben più difficile con i nomi originali sparsi tra la B di Bashful (Mammolo) e la S di Sneezy (Eolo). Fu quella di caratterizzare i nani (altrimenti anonimi nella favola originale) una delle grandi idee di Disney, una di quelle che ha reso questo film immortale, tanto da essere un evento la sua uscita in Blu-ray a settantadue anni dall´uscita nei cinema.
Trovare quelli giusti fu uno dei primi e principali problemi di Disney. E dai suoi appunti emergono ora una cinquantina di nani alternativi: ce n´è uno egocentrico (Biggo-ego), un altro sempre affamato come il cagnolino della Carica dei 101 (Hungry), un altro che non ha voglia di fare niente (Lazy). E poi c´è anche Pazzolo (Silly), Zompolo (Jumpy) e Piagnolo (Tearful). E viene fuori anche uno Snoopy. Ora lo si può dire: Disney tra tanti ha scelto i migliori. Quelli che meglio li caratterizzano come piccole, simpatiche macchiette: disordinati e permalosi, insicuri e dispettosi, che arrossiscono, starnutiscono, balbettano (Cucciolo non parla perché «non ha mai provato»). Piccoli adulti che non vogliono lavarsi le mani, che giocano con i diamanti estratti nella loro miniera, di cui chiudono la porta a chiave lasciando la stessa bene in vista. Ma facciamo un passo indietro.
Per arrivare a fare tutto ciò, per rendere i suoi personaggi immortali, Disney doveva superare il problema più grande di tutti: come far vivere dei disegni animati in un film lungo, un film più lungo di un´ora. Negli anni Trenta i cartoni animati erano intermezzi di sette minuti che accompagnavano il lungometraggio, quello con gli attori. Anche Mickey Mouse aveva il suo successo, certo, ma limitato al cinema di serie B. Dunque, per riuscire a entrare in serie A, Disney doveva realizzare un lungometraggio. E un lungometraggio aveva bisogno di personaggi veri, credibili, non di creature fatte di tubi di gomma (come il primo Mickey) che potevano arrotolarsi su se stesse o essere schiacciate senza farsi male. Con Biancaneve gli spettatori avrebbero dovuto aver paura della strega cattiva e temere per la vita della ragazza protagonista. Per questo in tre anni, dal 1934 al 1937, Walt Disney rivoluzionò la tecnica del disegno animato: raccolse e mostrò il lavoro di tanti illustratori europei, organizzò dei corsi all´interno del suo Studio, per esempio sull´"analisi del movimento". E poi riprese una soluzione già adottata da altri: quella di far animare le scene sulla base di una ripresa dal vero. Per la parte di Biancaneve si scelse una giovanissima danzatrice, che interpretò magistralmente la scena in cui canta e danza con i nanetti (c´è negli extra del disco insieme a molto altro).
Nonostante tutta l´energia creativa di un´impresa del genere, la realizzazione del film non si rivelò affatto facile e fu piena di ripensamenti. Il principe, ad esempio, doveva avere più importanza nel piano originario di Disney, ma il personaggio non riuscì mai a fiorire. E invece, sotto le matite degli animatori, la strega diventò cattiva davvero, l´ingenua Biancaneve mostrò la sua armonia con la Natura, mentre i sette nani si dimostrarono attori comici formidabili. A proposito: nel film uscito nei cinema italiani, verso la fine si vede Biancaneve preparare una torta e ornarla con un astratto ghirigoro. Nella versione originale (la si vede nel disco) quella torta è invece dedicata a uno dei nani: Grumpy, cioè Brontolo.
Altre due curiosità: alla fine del film, quando Biancaneve sta per abbandonare i nani per andare via insieme al principe, lei ne bacia solo sei: ma risulta impossibile stabilire con esattezza quale sia lo sfortunato. E poi, ecco il castello, alla fine del film: a guardarlo attentamente ci si accorge che non è un castello vero, non c´è nessuna strada che porti al suo portone. un castello tra le nuvole, è una visione, forse il Paradiso, forse solo una grande illusione.
MICHELE SERRA
S crappy, Hoppy, Weepy, Cranky, Sneezy-wheezy, Hungry, Lazy, Dumpy, Thrifty, Shifty, Nifty, Woeful, Doleful, Wistful, Soulful, Helpful, Snoopy, Goopy, Gabby, Blabby, Silly, Dippy, Graceful, Neurtsy, Sappy, Gloomy, Flabby, Crabby, Daffy, Tearful, Gaspy, Busy, Dizzy, Snappy, Hotsy, Jaunty, Puffy, Strutty, Biggy-wiggy, Biggo-ego, Chesty, Jumpy, Awful e Dirty.
Ecco un elenco che Umberto Eco potrebbe pubblicare come postilla al suo recentissimo La vertigine della lista. l´appello (quasi) infinito, e a pensarci anche piuttosto malinconico, dei nani ignoti, che presero parte allo spietato casting di Biancaneve, ciascuno con fisionomia e attitudine propria, ma vennero scartati. Disney ne aveva disegnati una cinquantina, di nani. Ma solo sette ebbero la fama. Degli altri non si seppe più nulla. Entrarono a fare parte dell´infinita schiera degli artisti falliti, di quelli che ci hanno provato ma non ce l´hanno fatta. Neanche una particina in un cartoon minore. Forse si sono dati all´alcool. Forse qualcuno si è rifatto una vita lontano dai riflettori. Più probabilmente sono rimasti in un cassetto, laggiù a Los Angeles, per sortirne solamente ora, settantadue anni dopo.
Scorrendo l´elenco, diverte immaginare come quei nomi sarebbero stati tradotti in italiano se non fossero stati esclusi dal cast. Mantenendo il trisillabo sdrucciolo e la desinenza in "olo" che, con l´eccezione di Dotto, contraddistingueva gli altri sei, si può presumere che invece di Gongolo, Mammolo, Pisolo, Cucciolo, Brontolo e Eolo, avremmo potuto avere Zozzolo (Dirty), Brutolo (Awful), Zompolo (Jumpy), Tristolo (Gloomy), Mangiolo (Hungry), Tettolo oppure Pettolo (Chesty), Egolo (Biggo-ego), Piagnolo (Tearful) eccetera.
Mi prendo la responsabilità delle traduzioni: tra i lettori di Linus degli anni ruggenti la pubblicazione della lista dei nani ignoti avrebbe scatenato un memorabile gioco collettivo, sfida alla traduzione meglio riuscita. Che sarà anche un gioco ozioso e anzi lo è sicuramente (il piacere dell´elenco, spiega Eco nel suo libro, non necessariamente attiva le parti più nobili del nostro cervello), ma un minimo di profondità la contiene, perché allude alla precarietà dei destini, e non solo il destino di quei nani. Per esempio: se l´aspirante nano di nome Snoopy ce l´avesse fatta, magari detronizzando Gongolo (che mi è sempre sembrato il meno interessante del gruppo: forse un raccomandato), ovviamente sarebbe diventato famoso nel mondo con il nome, appunto, di Snoopy. E dunque che ne sarebbe stato, trent´anni dopo, del bracchetto più famoso dell´universo? Ovvio: non avrebbe potuto chiamarsi Snoopy, il suo creatore Schultz lo avrebbe dovuto battezzare diversamente, e noi oggi vivremmo in un mondo del quale non solo Gongolo non esiste ed è stato rimpiazzato dal nano Snoopy, che in italo-nanese mi azzardo a tradurre Trufolo (to snoop in inglese vuol dire curiosare, intrufolarsi, ficcare il naso). Ma il vero Snoopy, pur esistendo, non si chiamerebbe affatto così. E dovete ammettere che l´idea di uno Snoopy che non si chiama Snoopy un poco ci confonde.
E che dire di Daffy? Uno dei nani eliminati proprio così si chiamava, come l´anatra pazza che non molti anni dopo (Biancaneve è del ´37) avrebbe invaso i cinema e le televisioni di mezzo mondo. Niente nomen omen, dunque, per quei nani: due di essi si chiamavano come future star planetarie, Snoopy e Daffy, ma finirono in fondo al pozzo dei fallimenti.
Da quell´elenco di nomi, dunque, ciascuno può trarre suggestioni a non finire. La meno ludica, ma anche la meno peregrina, è ragionare su quale e quanto peso abbia, nella vita non solo dei cartoon, il caso. Si immagina che Walt Disney abbia sottoposto i suoi nani al giudizio dei collaboratori (o che alcuni dei nani siano opera dei collaboratori stessi, della bottega e non del maestro). Nella favola dei Grimm i nani erano un insieme generico, nel film dovevano avere ciascuno un carattere, un tic comico, una riconoscibilità. Ecco che un naso venuto male, una specializzazione troppo blanda, un disegno portato a termine a notte fonda, con la mano stanca e le idee sfocate, portano a scartare Flabby, oppure Gabby. Un foglio che cade dalla scrivania costa il futuro a Doleful: è finito sotto il tavolo e nessuno lo ha notato. E così via.
Gli altri sette, quelli superstiti, quelli che sono riusciti a sfondare a Hollywood, non si montino troppo la testa. Se sono nelle camerette di milioni di bambini, e non dimenticati in un archivio polveroso, lo devono anche al caso. Il talento conta, ovviamente, ma contano anche le manipolazioni del destino. E nessuno può sapere se i moderni casting, e selezioni, e talent-show siano, quanto a esito, meno discutibili, e precari, e casuali di quel lontanissimo concorso tra nani.