Adriana Bazzi, Corriere della Sera 6/12/2009, 6 dicembre 2009
ISOLA DI RIEMS
Allora, quasi cent’anni fa, non c’erano tutti quei sistemi di sicurezza tipo cappe sterili, ventilazione a flussi laminari, filtri e tute per evitare contagio e fuga di virus; così il più antico laboratorio di ricerca virologica del mondo è stato costruito su un’isola nel Mar Baltico: il «confinamento» di pericolosi germi, che si cominciavano allora a studiare, era garantito da una barriera di acqua.
Adesso le cose sono cambiate al Friedrich Loeffler Institute dell’Isola di Riems, poco lontano dalla cittadina universitaria di Greifswald, Nord della Germania: un progetto partito nel 2008, che costa 260 milioni di euro e si concluderà l’anno prossimo giusto per il suo centenario, lo renderà un laboratorio Bsl-4, cioè di massima sicurezza, adatto alla ricerca su tutti i tipi di microrganismi, anche i più letali e contagiosi.
Nato per studiare l’afta epizootica, una malattia che colpisce i bovini, il cui agente infettivo è stato scoperto proprio da Loeffler, l’istituto è diventato poi un centro di riferimento per le malattie degli animali (il più moderno attualmente in Europa, con progetti finanziati dall’Unione europea) e, in particolare, di quelle che si trasmettono all’uomo. L’influenza, per esempio.
Uno degli ultimi lavori dei ricercatori di Riems, pubblicato sul Journal of General Virology dimostra che i maiali, responsabili di avere trasmesso l’H1N1 all’uomo, a loro volta possono essere contagiati da persone infette. E il dato crea una certa preoccupazione perché questi passaggi favoriscono le mutazioni del virus o, peggio ancora, la ricombinazione fra virus di origine diversa in nuove forme più aggressive.
Ricerche di questo tipo sono la specialità del Loeffler Institute : sull’isola, infatti, si trovano non solo laboratori di ricerca dove lavorano circa 330 persone, non solo i vecchi edifici, diventati patrimonio storico come la casa di Loeffler, ma anche un’immensa fattoria con ogni genere di animali: mucche e maiali, cinghiali e galli, capre e pecore, anatre e cigni, e, ovviamente, piccoli animali come i furetti, ideali proprio per studiare il virus dell’influenza. All’epoca della mucca pazza, nei primi anni 2000, l’attenzione dei ricercatori era concentrata su 28 mucche, che avevano infettato apposta con i prioni per studiare i sintomi, poi è arrivato il momento degli uccelli migratori con il virus dell’aviaria che arrivavano lì, da tutta la Germania, per le analisi. Adesso il re della fattoria è tornato a essere il maiale, l’untore della nuova epidemia.
Adriana Bazzi