Aldo Grasso, Corriere della Sera 6/12/2009, 6 dicembre 2009
Bisognerebbe mettere una moratoria all’espediente retorico della «lettera aperta al figlio». Dopo Father and Son di Cat Stevens non se ne può più: è un esercizio stilistico riprovevole e banale, è la presunzione di essere al centro dell’universo, è fare del male alla propria creatura
Bisognerebbe mettere una moratoria all’espediente retorico della «lettera aperta al figlio». Dopo Father and Son di Cat Stevens non se ne può più: è un esercizio stilistico riprovevole e banale, è la presunzione di essere al centro dell’universo, è fare del male alla propria creatura. E infatti, nel giro di poche ore, dopo che su «Repubblica» era apparsa una lettera di Pierluigi Celli al figlio, il suddetto è diventato lo zimbello della Rete, ha dovuto sopportare ogni tipo di insulto e di insinuazione: le colpe dei padri non ricadono sui figli, a patto però che i figli sappiano liberarsi dei padri. Nella missiva, Father Celli invitava il rampollo a fare le valigie. Non per affrettare, come sarebbe giusto, una crescita culturale e misurare le proprie forze, ma per colpa dell’Italia: «Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all’attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai». Per onestà, avrebbe dovuto aggiungere: «Questo è un Paese dove si diventa direttore generale della Rai solo, e sottolineo solo, se sei ammanicato con qualche potentato politico». Celli ama stupire, fin troppo. La sua lettera ha suscitato molte reazioni. Quasi tutte negative, se persino il capo dello Stato ha sentito il bisogno di intervenire per esortare i giovani a non abbandonare l’Italia. Se persino Luca di Montezemolo ha preso carta e penna per ricordargli che la «provocazione» è poco coerente «con chi dirige l’università di Confindustria, che oltre a fornire una formazione di assoluta eccellenza ha la missione di avvicinare i giovani al mondo del lavoro». Benedetta Tobagi, in un intervento molto appassionato, gli ha ricordato che «ai figli tocca l’onere di affrontare questo Paese ferito e travagliato e anche denunciarne i mali, ma i padri non dovrebbero abdicare al proprio ruolo». C’è infine chi segnala come la lettera sia solo il teaser, l’anticipazione di un libro appena uscito. l’Italia, figlio mio, emigrante immaginario.