Dino Messina, Corriere della Sera 6/12/2009, 6 dicembre 2009
di DINO MESSINA Nell’anno del decennale della scomparsa, avvenuta il 5 aprile 1999, quella che si è appena conclusa è stata la settimana più difficile per la famiglia che custodisce il ricordo di Giulio Einaudi
di DINO MESSINA Nell’anno del decennale della scomparsa, avvenuta il 5 aprile 1999, quella che si è appena conclusa è stata la settimana più difficile per la famiglia che custodisce il ricordo di Giulio Einaudi. Ma anche nella sede di via Biancamano della casa torinese non sono stati giorni facili. Il presidente Roberto Cerati, dopo aver letto le dichiarazioni di Gian Arturo Ferrari, direttore generale in uscita della Mondadori Libri, gruppo che controlla anche l’Einaudi, sulla «determinazione lucida e feroce » di Giulio ad attuare «il disegno egemonico » teorizzato da Gramsci, con punte di «megalomania » che si sono rivelate pienamente nel progetto dell’Enciclopedia, ha pensato seriamente alle dimissioni. A confermarci questa notizia, con addolorato garbo, è la nipote di Giulio, Roberta, fondatrice con Ginevra Bompiani della casa editrice Nottetempo. «Ho parlato con Cerati due giorni fa – dice Roberta Einaudi, figlia del fratello di Giulio, Roberto ”. Era indignato, gli tremava la voce, mi ha detto di essere stato a un passo dalle dimissioni. Una decisione bloccata da una vera e propria sollevazione in suo favore all’interno dell’Einaudi». Ma anche i vertici di Segrate potrebbero essere intervenuti per far restare Cerati. Gian Arturo Ferrari a Bologna, durante una cena organizzata nella sede del Mulino alla vigilia della tradizionale lettura annuale, venerdì della scorsa settimana aveva parlato di Giulio Einaudi come dell’ «inventore dell’editoria di qualità» e poi s’era lanciato in una serie di definizioni quali «Fitzcarraldo del libro», per niente preoccupato dai conti economici, un editore che non dipendeva dall’università o dal partito (inteso come Pci), ma che voleva «influenzare l’università e il partito». Un’accusa «insensata», commenta Roberta Einaudi: «Se l’immagina Palmiro Togliatti che prende ordini da mio zio?». La nipote del fondatore della casa editrice torinese, in questi giorni ha inviato agli amici una lettera che il nonno Luigi, governatore della Banca d’Italia e secondo presidente della Repubblica italiana, aveva inviato nel 1944 dalla Svizzera al figlio Giulio, quando questi aveva deciso di raggiungere una formazione partigiana. «Tu hai creato una impresa che vale assai più della mia, che è stata e sarà ancora – scriveva Luigi al figlio che temeva di perdere – una fiaccola luminosa nella vita spirituale italiana; ed in quel lavoro ti sorresse sempre il pensiero di lavorare per quelli a cui hai dato la vita». E a proposito dell’aspetto economico dell’impresa aggiungeva: «Sarai, se non il più grande economicamente, che non conta nulla, il capo spirituale del tuo ramo». Giulio, conclude Roberta Einaudi, «è stato il suo catalogo. Forse è stato megalomane perché vedeva in grande, è morto senza possedere nulla». A telefonare tra i primi a Roberto Cerati è stato il nipote dell’editore, Malcolm Einaudi, che fu adottato dal nonno a quattro anni, alla morte di Elena, prima figlia nata dal secondo matrimonio di Giulio. Malcolm, 41 anni, nel 2003 assieme ad alcuni famigliari e collaboratori del nonno, ha creato la Fondazione Giulio Einaudi: «In consiglio di amministrazione avevamo previsto un posto per la casa editrice oggi controllata dalla Mondadori, ma dal notaio non si presentò nessuno. O meglio, arrivò il presidente di via Biancamano, Roberto Cerati, precisando che era lì a titolo personale. Ho sentito Cerati lunedì scorso: era scosso e arrabbiato, non escludo che abbia pensato alle dimissioni. Credo comunque che ai vertici di Segrate sia arrivata una nota di protesta firmata non soltanto da lui. Lealista per definizione, se non può parlare bene di qualcuno, Roberto tace. Ha passato gli ultimi anni della sua vita a spiegare alle nuove leve che l’editoria di qualità non passa soltanto dall’aspetto commerciale. Lui, che era direttore commerciale dell’Einaudi di Giulio Einaudi » . Malcolm pone una questione: «Perché l’attacco di Ferrari arriva in questo momento? La mia sensazione è che alcuni manager, finché amministrano l’Einaudi, cercano di essere all’altezza del modello che li ha preceduti e quando lasciano viene fuori la contraddizione: che l’Einaudi di oggi non è più quella creata da mio nonno. Dove sono oggi i Pavese e i Calvino, che prestarono il loro talento per la creazione di un catalogo che fa la storia della letteratura italiana?». Sull’aspetto economico della vecchia gestione Einaudi, Malcolm sostiene infine che i critici sono stati troppo duri: «Il fallimento dell’Einaudi non dipese dalla megalomania di mio nonno, ma dagli interessi bancari che erano al 15 per cento. Bastarono tre anni di amministrazione controllata per rimettere in piedi l’azienda».