Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 6/12/2009, 6 dicembre 2009
Contratti milionari e telecomando Renato Brunetta ha promesso di far inserire nei titoli di testa e di coda i compensi dei giornalisti e dei conduttori della Rai per consentire al pubblico di giudicare chi meriti e chi no
Contratti milionari e telecomando Renato Brunetta ha promesso di far inserire nei titoli di testa e di coda i compensi dei giornalisti e dei conduttori della Rai per consentire al pubblico di giudicare chi meriti e chi no. Probabilmente non se ne farà nulla. E tuttavia la cosa lascia un retrogusto demagogico che merita due parole. Intervenendo a «Cominciamo bene» sulla terza rete, il ministro della Pubblica amministrazione ricorda che la Rai è un’azienda finanziata con soldi pubblici. Perciò vorrebbe che fossero messi in onda anche i costi di produzione dei programmi: «Ci sono trasmissioni che costano poco e danno grandi risultati e trasmissioni che costano molto e danno pochi risultati». Ma poi chiarisce: «I compensi devono essere attribuiti a prescindere dall’audience». Onde evitare equivoci, due avvertenze: 1) i giornali da tempo danno conto dei compensi delle star della tv pubblica; 2) il Corriere ha reso noti anche i ben più riservati costi contatto (costo del programma per raggiungere mille spettatori in un minuto) dei programmi al centro delle polemiche (vi aggiungiamo oggi «Porta a porta»: 40-45 centesimi). Costi in genere bassi rispetto alle medie di rete per le stesse fasce orarie. Detto questo, benché riscuota un canone, la Rai ottiene quasi metà dei suoi ricavi dalla pubblicità. Com’è possibile separare i compensi dagli ascolti, in base ai quali si vendono gli spot, e al tempo stesso stimolare il giudizio del pubblico sulla base dei costi? Com’è possibile farlo quando l’azienda controllata dal capo di Brunetta cerca di ingaggiare i conduttori della Rai offrendo loro di più (sarebbe accaduto con Floris, per stare alle indiscrezioni)? D’altra parte, come nel menù di un ristorante figurano piatti più o meno costosi, così in un palinsesto ci saranno programmi più o meno onerosi. E l’onerosità si misura anche tenendo conto del fatto che Montalbano costa di più di un talk show, ma può essere può essere replicato e venduto. La verità è che il pubblico giudica con il telecomando e non parla in consiglio di amministrazione dove, fra l’altro, si deve considerare se prevalga la star o il format. Ma diamola per buona: pubblicizzando i costi si renderebbe un servizio a Mediaset (che si guarda bene dal fare altrettanto), ma almeno si eviterebbe l’uso strumentale di dati economici parziali per guerre di potere a viale Mazzini. E però, seguendo la logica di Brunetta, che dire di quei giornali che, oltre ai contributi pubblici ordinari (sconti sulle tariffe postali, prepensionamenti), godono di contributi speciali, assai superiori e continuativi, perché collegati a movimenti politici fittizi? Sono soggetti pubblici e come tali dovrebbero segnalare in coda alla gerenza i compensi della direzione? Il problema dei contratti milionari è molto serio: in Rai come in Mediaset, nelle banche come nelle grandi imprese. Ma il populismo su alcuni e il silenzio su altri non è la soluzione