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 2009  dicembre 06 Domenica calendario

PERUGIA

Hanno ucciso Meredith, ma non hanno premeditato l’omicidio. Mentre Rudy cercava di violentarla, Amanda e Raffaele erano lì. Lei aveva in mano il coltello, lui stava dall’altra par­te, forse la teneva ferma. Doveva essere una minaccia, invece alla fine la lama è stata conficcata nella gola e per Mez non c’è stato nulla da fare. questa la verità sul delitto avvenuto il 1˚ novem­bre 2007 nella villetta di via della Pergo­la, a Perugia, così come la raccontano le sentenze. Trent’anni di carcere sono sta­ti inflitti lo scorso anno all’ivoriano con il rito abbreviato. Ma è la decisione pre­sa ieri dalla Corte d’Assise di Perugia’ 26 anni alla bella americana e 25 al ra­gazzo pugliese – a scatenare la polemi­ca. Anche perché lascia aperto un nodo cruciale di questa agghiac­ciante storia: il movente. Hanno ucciso, ma i giudici non hanno indi­viduato il motivo di tanta ferocia. E non a caso hanno deciso di far cadere l’aggravante dei «futili motivi», conte­stata al momento del rinvio a giudizio.

Dura 14 ore la camera di consiglio. Ci sono due togati (il presidente Giancarlo Massei, a latere Beatrice Cristiani) e 6 popolari, 3 uomini e 3 donne. Uno è av­vocato, gli altri non hanno mai avuto a che fare con questioni di legge. Fanno domande, sollecitano chiarimenti, si fanno spiegare nel dettaglio gli effetti che la loro decisione può avere. Lo sape­vano sin dall’inizio che non sarebbe sta­to facile. Dopo essere stati sorteggiati si presentarono in tribunale e Massei co­municò loro di quale processo avrebbe­ro dovuto occuparsi. La sua raccoman­dazione fu espressa in tono gentile, ma fermo: «Il vostro è un ruolo delicato, non dovete parlare con nessuno di que­sta vicenda, evitate anche di leggere giornali e di guardare la tv quando si parla del caso». Un isolamento virtuale, visto l’interesse mediatico per il delitto, però loro hanno sempre garantito che nulla avrebbe potuto influenzare la deci­sione finale. E giovedì mattina, quando hanno varcato la porta dell’aula di udienza per stabilire la sorte di Amanda e Raffaele, «abbiamo avvertito quanto forte fosse il peso di quello che stavamo per fare».

La legge vieta di divulgare quello che avviene quando la Corte si riunisce per pronunciare il verdetto. Ma la frase di un giurato – che parla coperto dalla ga­ranzia dell’anonimato – serve a dare il senso di quanto accaduto in quella stan­za: «Speravamo tutti di avere torto, pe­rò le uniche titubanze hanno riguarda­to il conteggio della pena da infligge­re ». Sulla colpevolezza sembra dunque non ci fosse alcun dubbio. Era d’accor­do la giuria nel ritenere entrambi colpe­voli, la spaccatura è arrivata quando si è trattato di quantificare la condanna. Ec­cessiva è apparsa subito la richiesta dei pubblici ministeri che chiedevano l’er­gastolo e soprattutto la richiesta di isola­mento diurno: 9 mesi per Amanda, 2 per Raffaele. «Ci ha colpito – racconta uno dei giurati ”, siamo rimasti molto scossi dall’ipotesi di poterli mettere in questa situazione così punitiva, senza poter vedere nessuno neanche durante l’ora d’aria. E dunque non abbiamo avu­to dubbi sulla necessità di eliminare al­cune aggravanti. Sono ragazzi, la con­danna a vita era impensabile perché al­lora tanto valeva condannarli a morte». Per Amanda e Raffaele l’effetto della sentenza è stato comunque devastante. Il loro appello finale per proclamarsi an­cora una volta innocenti ha commosso i giurati, però non è servito a convincer­li. E questo nonostante i punti oscuri che il processo ha contribuito a eviden­ziare. Perché la maggior parte dei testi­moni sono apparsi confusi, contraddit­tori. E perché gli elementi offerti dalle prove scientifiche non hanno fornito la certezza sulla presenza dei due giovani nella casa, come invece era accaduto per Rudy. Certamente hanno pesato le contraddizioni emerse nelle versioni fornite da tutti e due subito dopo l’omi­cidio, la mancanza di un alibi, la perso­nalità complessa che entrambi hanno. Ora sperano nell’appello. Ma sanno be­ne che la strada per uscire dal carcere diventa sempre più impervia.

Fiorenza Sarzanini