Paolo Rastelli, Corriere della Sera 6/12/2009, 6 dicembre 2009
Le scene, racconta chi ha avuto la possibilità di vederle, sono da economia di guerra: centinaia di nordcoreani disperati in coda per spendere i soldi prima che il loro valore venga pressoché azzerato dall’ultima riforma annunciata dal regime del «caro leader» Kim Jong-il
Le scene, racconta chi ha avuto la possibilità di vederle, sono da economia di guerra: centinaia di nordcoreani disperati in coda per spendere i soldi prima che il loro valore venga pressoché azzerato dall’ultima riforma annunciata dal regime del «caro leader» Kim Jong-il. E altri che invece bruciano in pubblico per protesta mucchi di biglietti di banca. Il motivo? Pyongyang ha decretato che da oggi (ma non sono esclusi ripensamenti dell’ultimo minuto sulla scadenza) la moneta nazionale, il won, sarà «appesantita» togliendo due zeri: quindi 1.000 vecchi won varranno 10 nuovi. Un provvedimento, hanno spiegato le fonti ufficiali, che servirà a combattere l’inflazione. E che in apparenza ricorda le misure analoghe messe a punto da decine di altri Paesi per tutto il secolo scorso, per esempio la Francia gollista che alla fine degli anni 50 passò da «vecchi» a «nuovi» franchi togliendo anche lei due zeri alla valuta nazionale. «Per carità, la situazione nordcoreana, per quanto è dato di sapere, è del tutto diversa’ spiega Giuseppe Marotta, professore di Economia monetaria all’Università di Modena e Reggio Emilia ”. Non c’è la volontà di creare una nuova moneta per dare ai mercati un segnale di stabilità, quanto quella di strozzare il mercato nero nato in seguito alle limitate riforme di qualche anno fa». Per venire incontro alle necessità di approvvigionamento della popolazione nordcoreana è stata concessa un po’ di libertà economica, con la possibilità di acquistare generi di consumo sul mercato semilibero: ciò ha prodotto una nuova classe media e ha sottratto clienti ai negozi di Stato. «Con la riforma – aggiunge Marotta – si elimina la nuova classe media e si recupera il controllo totale dell’economia. E che le cose stiano così lo dimostra il fatto che sia stato posto un limite massimo di conversione». Ogni adulto nordcoreano può al massimo convertire 100 mila won: il resto non varrà più nulla. Insomma, davvero niente a che vedere con l’operazione francese, fatta da un Paese occidentale in regime di libero mercato. Eppure, anche in situazioni più tranquille, raramente le semplificazioni monetarie passano via lisce: dovrebbero essere neutre ma, soprattutto sui generi di largo consumo, portano inevitabili arrotondamenti da parte di chi controlla i prezzi, in assenza di sorveglianza dei governi. Di solito sono il segnale ai mercati che un Paese sta uscendo da un periodo di turbolenza, ha ristrutturato la finanza pubblica e, come una ciliegina sulla torta, cambia la moneta. Quindi sono operazioni compiute da economie che hanno attraversato qualche guaio. Alla sterlina, per dire, non è mai successo. Invece, oltre alla Francia reduce dalle grandi spese delle guerre di Indocina e Algeria, ci sono passati per esempio Israele (negli anni 80, un nuovo shekel ogni mille vecchi secondo Global Financial Data ); la Germania di Weimar negli anni 20 (con un nuovo Rentenmark che valeva mille miliardi di marchi di carta) e poi di nuovo subito dopo la Seconda guerra mondiale (1 Deutsche Mark per 10 Reichsmark al cambio ufficiale, ma in nero il rapporto era uno a mille); la Russia (un nuovo rublo ogni mille vecchi all’inizio dei 90); il Brasile (che ha cambiato così tante monete, sempre in rapporto di uno a 1.000, che alla fine un Real del ”94 valeva 2,75 miliardi di miliardi di Reis del 1942); l’Argentina che ha seguito il modello brasiliano, aggiungendovi di suo la dollarizzazione dell’economia, ossia l’aggancio temporaneo del suo peso alla valuta Usa. Come si vede, di solito si tolgono tre zeri, per semplificare i conti di chi fa la spesa: in Francia, che ne tolse due, non mancarono i problemi con i consumatori inferociti. L’Italia voleva provarci nel 1985, sotto il governo Craxi, con la cosiddetta «lira pesante» (pari a mille lire «leggere») per dare un segnale di stabilità e fiducia. La Banca d’Italia si mise al lavoro sul progetto, studiando bozzetti delle nuove banconote e arruolando perfino un gruppo di psicologi monetari per valutare l’impatto sulla popolazione. Il progetto incontrò ostacoli e critiche («Una pura sciocchezza», la definì l’economista Federico Caffè), il dibattito durò per anni e si concluse con un niente di fatto. Poi è arrivato l’euro. Paolo Rastelli