Paolo Colonnello, La Stampa 5/12/2009, 5 dicembre 2009
Il supervisore dell’emisfero sud occidentale del mondo di Google si materializza nella sede a due passi dal Duomo dove, a parte le sedie coloratissime e il biliardo all’ingresso, si respira un’aria asettica che dovrebbe rispecchiare la filosofia del gigantesco motore di ricerca: è Google il Grande Fratello? «Per niente e non lo vogliamo nemmeno diventare
Il supervisore dell’emisfero sud occidentale del mondo di Google si materializza nella sede a due passi dal Duomo dove, a parte le sedie coloratissime e il biliardo all’ingresso, si respira un’aria asettica che dovrebbe rispecchiare la filosofia del gigantesco motore di ricerca: è Google il Grande Fratello? «Per niente e non lo vogliamo nemmeno diventare. Noi siamo un mezzo neutrale che altri riempiono di contenuti. Se fossimo obbligati ad esercitare un controllo su ciò che ospitiamo allora sì che ci sarebbe il rischio: non potrebbero più esistere le piattaforme che conosciamo oggi, dai motori di ricerca ai social network; dalla condivisione di foto a quella di musica». L’uomo che sovrintende miliardi di informazioni tra Europa, Africa e Medioriente e contribuisce sostanziosamente al business della multinazionale americana (21 miliardi di dollari all’anno), si chiama Matt Sucherman, ha 44 anni, un pullover informale e di solito non ama rilasciare interviste. Ma la questione messa sul tavolo del processo che si sta svolgendo a Milano sulle presunte responsabilità di Google in merito ai contenuti veicolati dalle sue piattaforme Internet è di quelle che, secondo Sucherman, possono cambiare il futuro della società. «Tutta questa vicenda potrebbe porre in crisi Internet come lo conosciamo. E’ in gioco - dice Sucherman - la libertà di espressione. La questione è davvero seria: si tratta di un problema di bilanciamento tra l’apertura della rete e la lotta contro i fenomeni di abuso. E mi sembra riduttivo che tutto ciò venga messo in discussione in un tribunale penale anziché in un contesto legislativo con la partecipazione di tutti i soggetti interessati». I magistrati ovviamente non la pensano allo stesso modo: «La libertà d’iniziativa economica - hanno sostenuto nella loro requisitoria - non può svolgersi in modo da recare danno alla dignità umana». Soprattutto quando la vittima, come nel caso a processo, è un ragazzino disabile finito in un video postato dai compagni di scuola e cliccato 5.500 volte come «video più divertente». «Anch’io ho dei figli e capisco benissimo cosa possa aver provato il padre di quel ragazzo. Noi non vogliamo difendere l’esistenza di quel video da cui, sottolineo, non abbiamo ricevuto alcun guadagno. Non a caso collaboriamo stabilmente con la Polizia postale proprio per arginare questi fenomeni di bullismo e violenza. Non c’è dubbio che il fatto che Internet sia un sistema aperto consente a qualcuno di abusarne. La maggior parte della gente però, non lo fa. Il problema comunque esiste e noi siamo d’accordo con i pm su questo; differiamo dalla soluzione». Il denaro Certo quando da un’attività come questa si ricavano poi 21 miliardi di dollari, è un po’ difficile dichiararsi «neutrali». Il guadagno implica responsabilità. «Naturalmente, anche se riteniamo di essere solo un puro mezzo tecnologico e non degli editori, noi abbiamo delle responsabilità. La questione è come definirle. Le regole di Internet non possono essere le stesse di un qualsiasi mezzo di comunicazione. Il punto è: vogliamo che i server provider siano considerati responsabili a livello di rimozione preventiva?» In nome del business, in Cina avete accettato che lo fosse. « vero, anche se aver deciso di fare business in Cina rimane per noi una questione controversa. Queste sono le loro regole. Ma siamo sicuri di volere anche in Italia norme che ci obblighino a monitorare un certo tipo di contenuti? Ammesso che tutto ciò funzioni davvero. Allora io dico: mettiamoci intorno a un tavolo con il governo italiano e se questi decide di adottare il modello cinese, faremo come ci ordinano». Ma quanto costerebbe adottare dei filtri di controllo? «Non è questione di spesa. Ammesso e non concesso che sia possibile creare un sistema intelligente di filtro, questo porterebbe a una società del controllo. Prendiamo la parola ”Ass”: può essere una parolaccia oppure sinonimo di asino in inglese. Come fa un software a stabilire quando è appropriata? Oppure l’immagine di un seno: può essere in un contesto medico scientifico oppure in uno pornografico?». Stampa Articolo