Stefano Bucci, Corriere della Sera 5/12/2009, 5 dicembre 2009
Se è vero che all’estero basta la parola Uffizi per suscitare immediatamente grande passione e grande amore, allora vuol dire che a Firenze e in Italia c’è davvero qualcosa di strano (Shakespeare sarebbe stato più duro, avrebbe forse detto «di marcio»): «Qualcosa che ci obbliga a parlare sempre male di quello che stiamo facendo, che ci spinge a usare parole come sfascio o malcostume, che ci obbliga a denigrare i nostri musei, esaltando gli stranieri»
Se è vero che all’estero basta la parola Uffizi per suscitare immediatamente grande passione e grande amore, allora vuol dire che a Firenze e in Italia c’è davvero qualcosa di strano (Shakespeare sarebbe stato più duro, avrebbe forse detto «di marcio»): «Qualcosa che ci obbliga a parlare sempre male di quello che stiamo facendo, che ci spinge a usare parole come sfascio o malcostume, che ci obbliga a denigrare i nostri musei, esaltando gli stranieri». Magari senza ricordarsi, ad esempio, dello sciopero che sta bloccando quelli francesi: ieri risultavano ancora chiusi il Centre Pompidou (dodicesimo giorno consecutivo) e il Musée d’Orsay (terzo consecutivo). Antonio Natali, classe 1951, è direttore del museo fiorentino dal 2006 (un milione e mezzo di visitatori all’anno, di fatto il primo d’Italia) e da allora, ma forse anche da prima, si batte contro il malcostume «ormai dilagante » anche in materia di beni culturali. Quello dei visitatori («ma io preferisco chiamarli ospiti») che, spiega Natali, «gettano a terra, sullo scalone d’accesso, la gomma da masticare, quando non la appiccicano sotto le sedie delle sale» («chi entra oggi agli Uffizi – aggiunge – andrebbe però avvisato che quelle rampe non sembrano oggi così sporche perché sono state appena pulite, anche se non so fino a quando»). O quello di chi «ha l’abitudine di poggiare le suole delle scarpe sui muri, proprio accanto al Tondo Doni o alla Primavera, come fosse un fenicottero ». Ma anche su questo c’è una precisazione da fare: «Da un anno ormai 1.500 metri di cordone e 350 sostegni di ferro – è sempre il direttore degli Uffizi a parlare – sono stati messi nei corridoi a protezione e a valorizzazione dei marmi antichi oltre che a tutela del decoro delle pareti» (il «decoro ciceroniano», al pari, della «carità di San Paolo» sono tra i concetti prediletti di Natali). Per il direttore degli Uffizi sarebbe forse meglio portare l’elmetto ogni volta che c’è da affrontare una questione spinosa. Ad esempio, i prestiti: «Sto preparando la mostra su Bronzino e sto sperimentando sulla mia pelle come i musei stranieri siano molto più rigidi di noi nel prestare i loro capolavori ». Oppure, i custodi: «Quelli degli Uffizi sono tra i pochi ’in divisa’, non credo che al Louvre o alla National Gallery siano molto migliori». O ancora i depositi: « una vera sciocchezza scrivere che i nostri quadri sono abbandonati all’umido e in condizioni pessime. Credo che i nostri Botticelli, se potessero, ci andrebbero da soli. I depositi degli Uffizi sono sopra le Reali Poste, bisogna salire settanta scalini e non scendere in cantina come è stato scritto, e sono dotati di modernissime griglie dove i quadri sono appesi al buio, per evitare i danni della luce, in condizioni uniformi di umidità e calore. Meglio di così non potrebbe essere». Natali critica in primo luogo «la maleducazione e l’impreparazione dei visitatori » (colpa secondo lui «della famiglia e della scuola»), ma anche la recentissima trasformazione dei capolavori in feticci: «Una mutazione che ha portato allo svilimento di quadri e statue, ai quali si può oggi tranquillamente mancare di rispetto, mentre invece chi oserebbe mai buttare la marmellata su una poesia di Montale o di Leopardi? ». Eppure non si può definire certo un uomo all’antica (anche se non è d’accordo con il decentramento del Louvre a Abu Dhabi: «L’arte è il nostro petrolio, purtroppo i francesi l’hanno capito prima di noi»). Si dice favorevole, ad esempio, alle caffetterie «purché non appiattiscono l’offerta, per questo sulla terrazza sopra la Loggia dei Lanzi, davanti a quel panorama incredibile, noi offriamo cantuccini di Prato, crostini e Chianti». E anche alle guide multimediali: «Devono servire a farci venire voglia di vedere l’opera direttamente al museo». La nuova entrata degli Uffizi, quella progettata da Arata Isozaki, lo vede favorevole: « un progetto che ha un suo rigore, una sua coerenza e che recupera una area poco valorizzata». E ribadisce una sua teoria estetico-linguistica: «Chi la chiama pensilina la giudica negativamente; chi l’apprezza, la chiama invece loggia». (La nomina del nuovo commissario da parte di Bondi? «Un fatto positivo se servirà ad accelerare i tempi»). Certo si tratta di una questione spinosa (oltre che dai tempi lunghissimi), per la quale qualcuno ha parlato di un referendum: «Non avrebbe senso perché il risultato, in una città come Firenze così poco avvezza all’arte contemporanea, sarebbe scontato ». Proprio per questo Natali ha pensato, a partire di febbraio, ad una serie di lezioni sul contemporaneo da tenersi nel «suo» museo. «Vorrei che i turisti si allontanassero da quell’asse perverso che va dagli Uffizi all’Accademia – dice Natali – per andare a visitare ad esempio capolavori dimenticati come il Cenacolo di San Salvi». Da una parte, dunque, la rabbia contro quelle che lui reputa accuse ingiuste («Non c’è voglia di capire »); dall’altra l’orgoglio per quello che è stato fatto: «Qualcuno ha mai detto che nonostante siamo assediati dai cantieri i nostri pavimenti sono lucidissimi? Qualcuno si è ricordato che, mentre i musei stranieri chiudono intere ali quando debbono fare lavori, noi non abbiamo mai chiuso neppure un minuto? Qualcuno ha mai detto che il blocco per restauro della Tribuna del Buontalenti ha coinciso con la realizzazione di una sala, con tanto di pareti color cremisi, che di fatto è una replica della stessa Tribuna e che ora accoglie, invece di nascondere, i capolavori di Andrea del Sarto, Pontormo o Giulio Romano?».