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 2009  dicembre 05 Sabato calendario

Se è vero che all’estero basta la parola Uffizi per suscitare im­mediatamente grande passio­ne e grande amore, allora vuol dire che a Firenze e in Italia c’è davve­ro qualcosa di strano (Shakespeare sa­rebbe stato più duro, avrebbe forse detto «di marcio»): «Qualcosa che ci obbliga a parlare sempre male di quel­lo che stiamo facendo, che ci spinge a usare parole come sfascio o malcostu­me, che ci obbliga a denigrare i nostri musei, esaltando gli stranieri»

Se è vero che all’estero basta la parola Uffizi per suscitare im­mediatamente grande passio­ne e grande amore, allora vuol dire che a Firenze e in Italia c’è davve­ro qualcosa di strano (Shakespeare sa­rebbe stato più duro, avrebbe forse detto «di marcio»): «Qualcosa che ci obbliga a parlare sempre male di quel­lo che stiamo facendo, che ci spinge a usare parole come sfascio o malcostu­me, che ci obbliga a denigrare i nostri musei, esaltando gli stranieri». Maga­ri senza ricordarsi, ad esempio, dello sciopero che sta bloccando quelli fran­cesi: ieri risultavano ancora chiusi il Centre Pompidou (dodicesimo gior­no consecutivo) e il Musée d’Orsay (terzo consecutivo). Antonio Natali, classe 1951, è diret­tore del museo fiorentino dal 2006 (un milione e mezzo di visitatori al­l’anno, di fatto il primo d’Italia) e da allora, ma forse anche da prima, si bat­te contro il malcostume «ormai dila­gante » anche in materia di beni cultu­rali. Quello dei visitatori («ma io pre­ferisco chiamarli ospiti») che, spiega Natali, «gettano a terra, sullo scalone d’accesso, la gomma da masticare, quando non la appiccicano sotto le se­die delle sale» («chi entra oggi agli Uf­fizi – aggiunge – andrebbe però av­visato che quelle rampe non sembra­no oggi così sporche perché sono sta­te appena pulite, anche se non so fino a quando»). O quello di chi «ha l’abi­tudine di poggiare le suole delle scar­pe sui muri, proprio accanto al Tondo Doni o alla Primavera, come fosse un fenicot­tero ». Ma anche su questo c’è una precisa­zione da fare: «Da un anno ormai 1.500 me­tri di cordone e 350 so­stegni di ferro – è sempre il direttore de­gli Uffizi a parlare – sono stati messi nei corridoi a protezione e a valorizzazio­ne dei marmi antichi oltre che a tute­la del decoro delle pareti» (il «decoro ciceroniano», al pari, della «carità di San Paolo» sono tra i concetti predilet­ti di Natali). Per il direttore degli Uffizi sarebbe forse meglio portare l’elmetto ogni volta che c’è da affrontare una questio­ne spinosa. Ad esempio, i prestiti: «Sto preparando la mostra su Bronzi­no e sto sperimentando sulla mia pel­le come i musei stranieri siano molto più rigidi di noi nel prestare i loro ca­polavori ». Oppure, i custodi: «Quelli degli Uffizi sono tra i pochi ’in divi­sa’, non credo che al Louvre o alla Na­tional Gallery siano molto migliori». O ancora i depositi: « una vera scioc­chezza scrivere che i nostri quadri so­no abbandonati all’umido e in condi­zioni pessime. Credo che i nostri Botti­celli, se potessero, ci andrebbero da soli. I depositi degli Uffizi sono sopra le Reali Poste, bisogna salire settanta scalini e non scendere in cantina co­me è stato scritto, e sono dotati di mo­dernissime griglie dove i quadri sono appesi al buio, per evitare i danni del­la luce, in condizioni uniformi di umi­dità e calore. Meglio di così non po­trebbe essere». Natali critica in primo luogo «la ma­leducazione e l’impreparazione dei vi­sitatori » (colpa secondo lui «della fa­miglia e della scuola»), ma anche la re­centissima trasformazione dei capola­vori in feticci: «Una mutazione che ha portato allo svilimento di quadri e sta­tue, ai quali si può oggi tranquillamen­te mancare di rispetto, mentre invece chi oserebbe mai buttare la marmella­ta su una poesia di Montale o di Leo­pardi? ». Eppure non si può definire certo un uomo all’antica (anche se non è d’accordo con il decentramento del Louvre a Abu Dhabi: «L’arte è il nostro petrolio, purtroppo i francesi l’hanno capito prima di noi»). Si dice favorevo­le, ad esempio, alle caffetterie «purché non appiattiscono l’offerta, per questo sulla terrazza sopra la Loggia dei Lan­zi, davanti a quel panorama incredibi­le, noi offriamo cantuccini di Prato, crostini e Chianti». E anche alle guide multimediali: «Devono servire a farci venire voglia di vedere l’opera diretta­mente al museo». La nuova entrata degli Uffizi, quella progettata da Arata Isozaki, lo vede fa­vorevole: « un progetto che ha un suo rigore, una sua coerenza e che recupe­ra una area poco valorizzata». E ribadi­sce una sua teoria estetico-linguistica: «Chi la chiama pensilina la giudica ne­gativamente; chi l’apprezza, la chiama invece loggia». (La nomina del nuovo commissario da parte di Bondi? «Un fatto positivo se servirà ad accelerare i tempi»). Certo si tratta di una questio­ne spinosa (oltre che dai tempi lun­ghissimi), per la quale qualcuno ha parlato di un referendum: «Non avreb­be senso perché il risultato, in una cit­tà come Firenze così poco avvezza al­l’arte contemporanea, sarebbe sconta­to ». Proprio per questo Natali ha pen­sato, a partire di febbraio, ad una serie di lezioni sul contemporaneo da tener­si nel «suo» museo. «Vorrei che i turisti si allon­tanassero da quell’asse perver­so che va dagli Uffizi all’Accade­mia – dice Natali – per anda­re a visitare ad esempio capola­vori dimenticati come il Cena­colo di San Salvi». Da una par­te, dunque, la rabbia contro quelle che lui reputa accuse in­giuste («Non c’è voglia di capi­re »); dall’altra l’orgoglio per quello che è stato fatto: «Qualcuno ha mai detto che nonostante siamo assediati dai cantieri i nostri pavimenti sono lu­cidissimi? Qualcuno si è ricordato che, mentre i musei stranieri chiudo­no intere ali quando debbono fare la­vori, noi non abbiamo mai chiuso nep­pure un minuto? Qualcuno ha mai det­to che il blocco per restauro della Tri­buna del Buontalenti ha coinciso con la realizzazione di una sala, con tanto di pareti color cremisi, che di fatto è una replica della stessa Tribuna e che ora accoglie, invece di nascondere, i capolavori di Andrea del Sarto, Pontor­mo o Giulio Romano?».