Gianni Santucci, Corriere della Sera 5/12/2009, 5 dicembre 2009
GSTAAD
(Svizzera) – Gli occhi blu di Emmanuelle Seigner appaiono per un attimo. Dietro il vetro di una finestra, al secondo piano, l’attrice sposta la tenda e guarda fuori. Aspetta, indossa un golf grigio, parla al telefono. Anche il volto di Roman Polanski si intravede soltanto, pochi minuti dopo, oltre il parabrezza di un’Audi nera. Maglietta e giacca blu, il volto sembra smagrito. Il regista che per quarant’anni ha offerto la sua faccia al cinema e al pubblico oggi distoglie gli occhi dai fotografi che lo inseguono. Dopo oltre due mesi di carcere entra rapido nel suo chalet di Gstaad, il villaggio più esclusivo delle Alpi svizzere. Gli arresti domiciliari iniziano pochi minuti prima delle 13, intorno ci sono trenta centimetri di neve.
La balorda notte hollywoodiana in cui violentò una ragazzina di 13 anni chiede il conto a Polanski 32 anni dopo. Quella sera, nella villa di Jack Nicholson, offrì a Samantha Gailey champagne e Quaalude, un barbiturico che si usava per sballare. Venne accusato di sei reati, si dichiarò colpevole di uno, «rapporti illegali con una minorenne», scappò dagli Stati Uniti prima della sentenza. Aveva 44 anni e oggi, a 76 compiuti, si ritrova con un braccialetto elettronico allacciato intorno alla caviglia. Due volte, in attesa della decisione sull’estradizione negli Usa, le autorità elvetiche gli hanno negato i domiciliari. «Pericolo di fuga». Uscito infine dal carcere, da ieri la sua «catena» è un versamento su un conto dello Stato: quattro milioni e mezzo di franchi (poco meno di 3 milioni di euro). Se Polanski si azzardasse a violare le regole, la cauzione gli verrebbe confiscata.
Gstaad è alla confluenza di cinque valli dietro il Monte Bianco. Un villaggio di 2.500 abitanti che ha ospitato Liz Taylor, Roger Moore, Ursula Andress, John Travolta. «Per noi la discrezione è fondamentale », dicono all’ufficio del turismo. Polanski di solito passa qui il Natale con la famiglia e gli amici. Lo farà anche quest’anno, perché la sentenza sull’estradizione non arriverà prima di qualche settimana. Lo spazio vitale del regista è limitato da un campo elettronico che registra gli impulsi del braccialetto alla caviglia. Se si allontana, scatta un allarme. Polanski però può ricevere amici, uscire in giardino, lavorare ai suoi progetti; nessun limite per la connessione Internet; telefonate ed email senza controlli.
Due piani rivestiti in legno con cornicioni intarsiati, lo chalet è all’ingresso di Gstaad, su una collina. Si chiama «Milky way», una piccola scritta rossa e verde su un angolo. Si racconta che appena entrato, ieri, Polanski si sia commosso dicendo «finalmente, è una liberazione ». Dal 26 settembre era recluso in una cella del carcere di Winterthur, vicino Zurigo. Se dovesse arrivare davanti a un giudice, a Los Angeles, rischia una pena massima di due anni. L’amico regista Janusz Morgenstern ha detto: «Ci ha convissuto così a lungo, che alla fine la paura di quel processo negli Usa è diventata un’ossessione latente». L’incubo di Polanski, che inizia in una villa extralusso della California e finisce in questo esclusivo resort in Svizzera, somiglia sempre più a un soggetto per un film di David Lynch. Ieri il regista di «Chinatown » e «Rosemary’s baby» non si è neppure affacciato alla finestra. rimasto con la moglie e i due figli, Morgane e Elvis. Il ragazzino è stato l’unico ad uscire di casa, per una breve corsa nella neve. Ha 12 anni.
Gianni Santucci