Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 05 Sabato calendario

NOGALES

(Arizona) – L’agente della Border Patrol usa la torcia per far luce nel gigantesco canale sotterraneo. Una condotta che rac­coglie, in certi periodi dell’anno, un fiume d’acqua piovana prove­niente dal Messico. Ogni tanto si ferma ed esplora l’antro con un vi­sore notturno. Sul pavimento mel­ma, rifiuti, stracci. L’aria è fredda, sa di muffa. Il poliziotto controlla attentamente le derivazioni che si dipanano dall’asse principale. An­che lì altri resti che segnalano il passaggio di esseri umani. Avanzi di cibo, una giacca. Siamo nelle vi­scere di Nogales, Arizona, città di­visa da una barriera arrugginita dall’altra Nogales, quella messica­na. Sopra di noi i frontalieri, le fa­migliole che vengono a fare la spe­sa, i campesinos con l’abito della festa e tipi che fissano chiunque passi.

Le due Nogales si guardano, vi­vono in simbiosi. E tu puoi vedere la vita dall’altra parte. Gente nei ne­gozi, i bimbi che giocano, i vendi­tori di tacos e tamales. Ma è una visuale parziale. Perché non sai ciò che accade sotto terra. A dieci me­tri di profondità. Magari, proprio in questo momento, stanno sca­vando un’altra galleria clandesti­na. Nogales è la «capitale» dei tun­nel, usati dai trafficanti per con­trabbandare cocaina, marijuana, ar­mi e immigrati. Dal 1990 ad oggi ne hanno scoperti quasi settanta. Una frazione importante dei quasi 120 scovati lungo tutto il confine Messico-Stati Uniti. L’ultimo lo hanno neutralizzato il 2 dicembre nel settore di San Diego, Califor­nia.

Se in altre zona della frontiera le «talpe» devono scavare sodo, a No­gales possono sfruttare la presen­za della condotta d’acqua. L’hanno costruita per evitare che durante la stagione delle piogge il versante americano sia allagato. Ma i traffi­canti l’hanno convertita per i loro affari. E’ come un’autostrada dalla quale partono «strade locali». Alcu­ne sono le tubature esistenti, abba­stanza ampie da permettere ad una persona di avanzare strisciando. Conducono a dei tombini in piena città. Altri tracciati sono costruiti dagli scavatori che realizzano delle deviazioni. Altri ancora sono, inve­ce, tunnel «originali». Funziona co­sì: la banda affitta una casetta dal lato messicano e inizia a perforare il terreno. Lavoro di pala e piccone fino a superare la barriera. Ma nep­pure di troppo. Una galleria è stata individuata, pochi mesi fa, in un deposito a trenta metri dal gabbiot­to della polizia. «Un passante ha sentito dei rumori – racconta Bob Bushell, l’agente che ci accompa­gna – ed ha avvertito la Border Pa­trol. Abbiamo fatto irruzione in un edificio dove c’erano tre persone che martellavano il pavimento. Erano in contatto con dei complici dal lato messicano. Scavavano an­che loro come dannati».

La profondità dei «buchi» varia – dai sei ai sedici metri – così co­me la lunghezza, dai 50 ai 300 me­tri. Molto dipende dal «teatro», os­sia la distanza delle abitazioni, il ti­po di sorveglianza, gli eventuali ostacoli. Con il passare del tempo «le talpe» hanno migliorato le gal­lerie: oltre all’illuminazione, posso­no avere dei piccoli carrelli per il trasporto del materiale, ventilatori e rudimentali ascensori.

Nel settore di Nogales il racket del contrabbando è nelle mani del potente Cartello di Sinaloa che in­gaggia i «minatori», riscuote il pe­daggio, organizza la logistica e l’in­telligence. I suoi uomini si sono in­filtrati nei quartieri poveri sorti lungo la barriera del confine. In particolare tra le casette colorate abbarbicate su «Hambuger Hill», la collina che domina il punto di passaggio internazionale. Da qui spìano i movimenti degli agenti, studiano le tattiche e si tengono collegati con i «coyotes», i passato­ri. Una sfida continua che riserva sempre sorprese. Puoi parcheggia­re vicino al fast food e all’improvvi­so trovarti faccia a faccia con un fantasma uscito da sottoterra.

La Border Patrol risponde con gli uomini e la tecnologia. Lungo il muro sono stati piazzati sensori e telecamere collegati ad una centra­le. Occhi elettronici che vegliano anche sul «cancello» installato nel­la conduttura, ostacolo relativo vi­sto che la pressione dell’acqua può aprirlo. La missione più dura tocca però ai «topi dei tunnel», unità speciale che combatte i contrab­bandieri sul loro terreno. Quando scendono «sotto» si portano die­tro i fucili d’assalto in quanto i nar­cos proteggono la merce con i Ka­lashnikov. In altre zone la polizia ricorre a sismografi e ad un nuovo radar. Una guerra nella quale è en­trato il Pentagono. A Fort Bliss (Texas) opera una task force di ge­nieri con il compito di trovare nuo­ve contromisure.

Quando riemergiamo dal nostro giro sbuchiamo vicino ad un risto­rante e alla ferrovia. Raggiungia­mo in jeep la barriera dove hanno segnalato un «corpo», un ragazzo che avrebbe scavalcato il muro per poi sparire tra le stradine della No­gales americana. Arriva anche una pattuglia in bici. I passanti ci cam­minano attorno come se non esi­stessimo. Per loro è una cosa nor­male e comunque pochi hanno vo­glia di fare le spie. Dopo qualche controllo l’allarme rientra. «Hanno forse voluto provare i nostri tempi di reazione», spiega l’agente Bu­shell. O magari semplicemente di­strarre le guardie e provare a buca­re la difesa da un’altra parte. Picco­li trucchi in una partita infinita.

Guido Olimpio