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 2009  dicembre 05 Sabato calendario

Mondo minato - Fino alla fine degli anni 90 lo sminamento era una corsa contro il tempo. Finché l’entrata in vigore del trattato antimine non ha ria­perto la partita per i cacciatori di mine e munizioni inesplose

Mondo minato - Fino alla fine degli anni 90 lo sminamento era una corsa contro il tempo. Finché l’entrata in vigore del trattato antimine non ha ria­perto la partita per i cacciatori di mine e munizioni inesplose. «Per piantare una mina servo­no circa 15-30 minuti e ne ser­vono circa 30-45 per rimuover­la », ha spiega ad Avvenire l’in­gegnere Alfieri Fontana, un e­sperto che lavora per l’organiz­zazione no- profit italiana In­tersos. Sfortunatamente, però, il più delle volte gli sminatori non sanno dove si trovano gli ordigni da smaltire. Il che ri­chiede tempo e soldi. «Media­mente in tutto il mondo 1 me­tro quadro costa 1 euro, fra tem­pi di ricerca e di sminamento». Le mine sono trappole ideate per esplodere quando una per­sona o un veicolo vi passa sopra. Impediscono ai contadini di coltivare la terra, agli animali di pascolare. Bloccano strade e sbarrano l’accesso a scuole e o­spedali. Il metodo più comune per bonificare un terreno mi­nato resta quello manuale, an­che se animali e macchine svol­gono un ruolo sempre più im­portante. «In Paesi desertici co­me il Tagikistan o il Sudan si fa grande uso di mezzi meccanici, ma, laddove il terreno comin­cia a inclinarsi un po’ o c’è ve­getazione molto fitta, il mezzo meccanico comincia a soffrire», racconta l’ingegnere italiano. Spesso gli sminatori si avvalgo­no dell’aiuto di cani addestrati a fiutare l’odore delle mine, an­che se questi non riescono a la­vorare più di 1-2 ore al giorno. I cani sono molto utili nell’indi­viduare l’area pericolosa, ma non nel localizzare esattamen­te le mine. Poi deve intervenire l’uomo. Per certi aspetti il me­stiere del cacciatore di mine non è cambiato molto dalla Se­conda guerra mondiale. Cam­mina lungo un corridoio largo circa un metro, metal detector in mano. Quando sente il se­gnale, si ferma e scava per veri­ficare di cosa si tratta. Nella maggior parte dei casi, trova chiodi, lattine o altri innocui frammenti di metallo. Un lavo­ro certosino che viene ripetuto migliaia di volte al giorno in tut­to il mondo. I ferri del mestiere sono sempre gli stessi, anche se col tempo sono diventati più piccoli, più maneggevoli e più affidabili. Inoltre gli sminatori di oggi possono usufruire del Si­stema di posizionamento glo­bale ( Gps) e del Sistema di informazione geografica (Gis) per mappare le aree minate. Senza contare l’avvento di nuo­ve tecnologie come i radar in grado di svelare i segreti del sot­tosuolo. «Non cerchiamo più un’unica tecnologia per trovare tutte le mine, ma cerchiamo di vedere come diverse tecnologie pos­sono integrarsi a vicenda», pre­cisa Erik Tollefsen, esperto del Centro internazionale di Gine­vra per lo sminamento umani­tario ( Gichd), che è una delle principali organizzazioni attive nel settore. Ad esempio, i nuo­vi metal detector sono più sen­sibili e sofisticati. Ma sono an­che più soggetti a falsi allarmi. Qualcosa è cambiato anche nel- l’approccio stesso al problema. « Lo scopo dello sminamento non è togliere tutte le mine, è mettere completamente in si­curezza le persone», sottolinea Fontana, spiegando che ogni anno in Italia si effettuano 3mi­la interventi di disinnesco di or­digni della Seconda guerra mondiale. «Eppure, nessuno si sogna di dire che la bonifica in Italia è un problema». Inventate durante la Guerra ci­vile americana, le mine sono state impiegate su larga scala dalla Seconda guerra mondia­le in avanti, passan­do per Vietnam e Corea. La storia del­lo sminamento u­manitario, invece, è più recente: risale alla fine del 1988, quando per la pri­ma volta le Nazioni unite lanciarono un appello per racco­gliere fondi da destinare a pro­grammi in Afghanistan. «Lavo­ro in questo campo da diversi anni: ho iniziato nel sud del Li­bano nel 1991 e sono stato in Bosnia Erzegovina nel 1992-93», riferisce ad Avvenire Tollefsen. «Allora lo sminamento era un lavoro di Sisifo: nonostante i no­stri sforzi, le mine che riusciva­mo ad eliminare erano meno di quelle che venivano dissemi­nate. La situazione è cambiata alla fine degli anni 90, con l’en­trata in vigore del Trattato per la messa al bando: in quel mo­mento abbiamo capito che la lotta contro le mine poteva es­sere vinta». grazie alla campagna lancia­ta nel 1992 da sei organizzazio­ni non-governative che nel giro di pochi anni 156 Paesi hanno aderito alla Convenzione che proibisce l’uso, lo stoccaggio, la produzione delle mine e ne im­pone la distruzione. Firmato a Ottawa, in Canada, nel 1997 il trattato antimine è entrato in vigore l’1 marzo 1999. Sono ancora 39 i Paesi che non hanno sottoscritto l’iniziativa, tra questi Stati Uniti, Russia, Cina e India. Alla vigilia della seconda conferenza di revisione del trattato, svoltasi in questi giorni a Cartagena, il Dipartimento di Stato americano ha fatto sapere che il presidente Obama non firmerà il Trattato. Washington non vuole avere le mani legate, ma rispetta la sostanza del trattato: ha smesso di usare mine, di esportarle e di produrle. Secondo l’Icbl, tra il 1999 e il 2008 più di 73.576 persone sono rimaste coinvolte in incidenti causati da mine o munizioni inesplose: 17.867 sono rimaste uccise e 51.711 ferite.