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 2009  dicembre 10 Giovedì calendario

Io, che ho giocato a fare Scarface di Fabrizio Corona PER PANORAMA 10 DICEMBRE 2009 Fabrizio Corona è imputato a Milano per i suoi presunti «fotoricatti»

Io, che ho giocato a fare Scarface di Fabrizio Corona PER PANORAMA 10 DICEMBRE 2009 Fabrizio Corona è imputato a Milano per i suoi presunti «fotoricatti». L’accusa a fine ottobre ha chiesto una condanna a sette anni e due mesi per estorsione. In attesa della sentenza, prevista per giovedì 10 dicembre, Corona ha scritto questo articolo. Manca poco alla sentenza, quella più importante; anzi, quella più mediatica. La sentenza dell’indagine che per mesi ha riempito le pagine dei giornali, che ha scomodato politici, giornalisti; che ha fatto tremare il Palazzo per paura delle notizie o delle foto che avrebbero svelato quelli che, oggi, sono gli argomenti di attualità che raccontano l’inimmaginabile, l’impensabile, e che stanno cambiando l’identità di questo Paese. Vi sembrerà strano, ma sono tranquillo. Chiedetelo alla mia fidanzata, che passa le giornate a dirmi: «Tu non sei normale; come fai a non pensare che rischi di tornare in carcere; come fai a dormire, a lavorare, a divertirti, a sorridere sempre, ad affrontare le giornate e i problemi come se nulla fosse, facendo continuamente progetti, per un futuro incerto e che potrebbero essere inutili?». Ma io sono così, sono sempre stato cosi! Ricordo che dopo 60 giorni di carcere, e dopo averlo incontrato varie volte in interminabili interrogatori, il pm Frank Di Maio venne da me e mi disse: «Qui non c’è nulla. Se tu accetti un patteggiamento di otto mesi per i tre filoni dell’inchiesta Vallettopoli a Milano, Torino e Roma, questo processo lo chiudo». Otto mesi d’inchiesta: circa dieci casi di presunta estorsione. Sarebbe finito tutto con un semplice sì. Ero incensurato, sarei uscito immediatamente dal carcere e, cosa più importante per me (almeno così mi pareva ai tempi), mi avrebbero sbloccato i soldi, ridato i beni, case, auto. Soprattutto mi avrebbero ridato la mia agenzia, la Corona’s: la mia vita! Ma io sono così, sono sempre stato così. Almeno questo lato di carattere l’ho ereditato dal mio grande padre: un uomo tutto d’un pezzo. Così mi sono detto: perché patteggiare per una colpa che non ho? Sono un combattente e i miei principi me li tengo stretti. Il lavoro era la mia vita e sono sempre stato convinto di agire nella legalità. Così ho detto: «Ma vaff... Patteggiare? Non se ne parla». Allora ho fatto altri 60 giorni di detenzione; mia moglie ha chiesto il divorzio; i miei beni sono stati confiscati; la mia agenzia chiusa per sempre e i dipendenti dispersi. Mi hanno portato via tutto, ma non l’orgoglio, la cattiveria. E quando sono uscito ho sputato il mio sfogo e iniziato la mia battaglia. Certo, molte cose sono state trash: il look, le dichiarazioni, le mutande lanciate dalla finestra, i soldi esibiti. Ero un personaggio inventato, che faceva vendere: uno Scarface moderno, un Padrino del 2000, un Robin Hood che ruba ai ricchi per dare a se stesso. Ma sapevo che quel personaggio, così odiato dalle persone a me care, funzionava. In un anno ho fatto un marchio di abbigliamento, due libri, una canzone, campagne di moda, interviste e addirittura un fumetto. Ho ricostruito tutto in 12 mesi. Però mentalmente non ero più come prima: nella corsa ho commesso tanti, troppi errori. Oggi la rabbia è diminuita, l’aggressività ha lasciato il posto all’ironia. Un fotografo fuori dal tribunale mi ha detto: «Se ti condannano, questo lavoro muore». Ma per me questo lavoro, che era la mia vita, è già morto. Non mi resta che pensare, ma soprattutto sperare, che quella frase scritta sui muri del tribunale, «La legge è uguale per tutti», non sia una cazzata.