Roberto Delera, Vanity Fair 09/12/09, 9 dicembre 2009
Marco Pannella: «Ho le mani libere per le carezze» - Era una calda mattina di primavera del 1961
Marco Pannella: «Ho le mani libere per le carezze» - Era una calda mattina di primavera del 1961. All’Arc de Triomphe, a Parigi, un vecchio anarchico nonviolento digiunava per protestare contro la guerra in Algeria. «Si chiamava Louis Lecoin, uno che, contro la tradizione anarchica, aveva chiesto al papa di intervenire per salvare Sacco e Vanzetti. Io allora vivevo là come corrispondente del Giorno, e mi unii a lui. Dopo cinque giorni lui smise, e smisi anch’io. Però la causa, quella contro la guerra coloniale, la riportai in Italia con me». Il primo sciopero della fame non si scorda mai. Marco Pannella aveva 31 anni, era giornalista e radicale: lo era in politica (aveva fondato il partito con Scalfari, Valiani, Pannunzio, Carandini nel 1956), lo era nella vita; come racconta nella lunga intervista raccolta da Stefano Rolando nel libro Le nostre storie sono i nostri orti (ma anche i nostri ghetti), appena arrivato nelle librerie, e che ricostruisce i suoi 65 anni di militanza politica (si è iscritto al Partito liberale quando ne aveva 15). Pannella, che fra pochi mesi compirà 80 anni, mi accoglie nella vecchia sede dei radicali, a Roma, così: «Questa sì che è una notizia! Un giornalista nella nostra sede. Sembra che ormai nessun organo d’informazione sia interessato a ciò che diciamo». Vuole dirmi che si sente solo? «Sono loro che sono soli! Loro con le loro scorte! Io cammino per strada, nessuno mi chiede raccomandazioni, ma se prendiamo un’iniziativa tutti gli italiani ne discutono e prendono posizione. Perché i problemi che noi poniamo sono quelli delle famiglie italiane». Al recente congresso radicale di Chianciano ha lanciato un appello ai verdi e ai socialisti per una nuova alleanza e una nuova coalizione fondata sui temi dell’ambientalismo: si è ispirato all’unica forza di sinistra vincente in Europa, quella di Daniel Cohn-Bendit in Francia? «Ciò che il mio amico Daniel ha detto, e cioè che la battaglia ecologista è troppo importante per stare chiusa dentro uno schieramento, è esattamente il senso della nostra storia politica. Secondo me, sia sull’ecologia che sui diritti civili e umani, qualche ideuzza a Daniel l’abbiamo ispirata anche noi, che da molti anni, e spesso al Parlamento europeo, anniamo condotto battaglie di questo tipo. Io, ora, vorrei aiutare verdi e socialisti a venire fuori dalla situazione di isolamento politico per ripartire. Insieme». Una nuova rosa nel pugno. «Bello quel simbolo, eh? Pensi che Mitterand lo volle dare a noi e non al Pci: lo comprammo nel 1976. Ed era nostro anche il simbolo del sole che ride, poi l’abbiamo regalato ai verdi: noi l’avevamo preso dai danesi nel 1973». Mi sta dicendo che quella di Chianciano non è una novità, che la linea politica radicale non è mai cambiata? «Esatto. una linea che ha 55 anni, e che è sopravvissuta con grande continuità. Le altre proposte politiche sono tutte morte nel frattempo. Siamo il più vecchio partito italiano e, a naso, direi anche quello che durerà di più tra quelli che ci sono oggi». Davvero Bersani le sta simpatico come ha sostenuto a Chianciano? «Bersani mi è molto simpatico. Ma è davanti a un compito parecchio difficile». Perché? «Perché gli ex comunisti hanno cambiato tutto ma senza metabolizzare niente. Trent’anni fa per il mondo marxista lo Stato di diritto era un inganno di classe, anche la democrazia politica lo era. Ora invece difendono lo Stato di diritto e la democrazia politica e il mercato, ma al loro interno non c’è mai stato un dibattito, una riflessione come successe al congresso del 1959 a Bad Godesberg per la Spd (in quel congresso la socialdemocrazia tedesca abbandonò il marxismo, ndr): devono fare i conti con una vecchia storia che non riescono a rinnovare». Però lei, sempre a Chianciano, ha detto che bisogna allearsi al Pd. «Da una vita inseguo i comunisti per assorbirli, megalomane come sono, nella rivoluzione liberale. Cito come esempio il referendum sul divorzio: lì riuscimmo ad assorbirli. Prima erano contrari, poi all’ultimo momento accettarono di sostenerlo e vennero con noi. Il loro popolo era d’accordo con quella iniziativa politica, ma i dirigenti avevano paura di perdere, e avevano paura che andasse a culo il rapporto con la Dc. la battaglia sul divorzio e l’aborto ha unito l’Italia: è la democrazia che unisce. Ne discutevano tutti: giovani, anziani, uomini, donne, al Nord come al Sud». Parliamo del presente: Berlusconi come sta? «Male, sta come sta il paese. Nel ”94, si era illuso davvero di poter giocare un ruolo liberaldemocratico e fino al ”96, sia pure decrescendo d’intensità, lo ha giocato. Ma oggi è l’ultimo di loro: l’ultimo rappresentante della partitocrazia. come un’auto in folle su una strada in discesa: precipita sempre più velocemente senza riuscire ad aggrapparsi a nulla. Non governa la maggioranza? Ma se non ha mai governato nulla, nel senso liberale della parola. E oggi lo fa con tutte le frustrazioni dei potenti impotenti che diventano prepotenti. Con un’aggravante: che ha assunto potere e forza in un Paese che non è più democratico, che non è più uno Stato di diritto». Addirittura... «L’Italia è un regime antidemocratico. E soprattutto non è uno Stato di diritto. Nessuno guarda alla legalità. Il presidente della Repubblica è costretto continuamente ad azioni e parole da arbitro verso i partiti, ma siccome fuori dai partiti non ci sono poteri, anche il capo dello Stato non è arbitro di nulla. questo il nodo del problema. Tutti dicono: salviamo la democrazia, ma non fammo nulla per fermare il degrado. E io avverto: quando non c’è democrazia, è un miracolo se la società non si trasforma da civile in incivile, seguendo la strada della violenza». Ed è colpa di Berlusconi? «No, è stata la Prima Repubblica che ha distrutto la Costituzione. Parlo del periodo dagli anni ”50 in poi. Perché non c’è una differenza antropologica tra destra e sinistra, anche se questo non vuol dire che sono uguali. Sessant’anni di partitocrazia antifascista, venuta dopo 20 di partitocrazia fascista: e la metamorfosi del Male. L’abbiamo scritto nella Peste italiana, un documento che spiega come siamo arrivati ad un nuovo regime totalitario». Quindi colpa dei partiti. Tutti. «Esatto. Sono stati loro a stracciare le regole democratiche che i padri costituenti intesero porre alla base della Carta fondamentale dello Stato. Sono stati loro a impadronirsi del sistema politico-istituzionale del nostro Paese. Noi, per parte nostra, siamo partigiani, siamo sulla montagna. E abbiamo le mani libere per le carezze. Perché non le abbiamo occupate dal ”bottino”». Torniamo a Berlusconi. «Quando entrò in politica, nella campagna del ”94, io dissi: quello è davvero, ma davvero capace di tutto. Contro di lui c’erano i ”quasi buoni a niente”, per questo feci la Rosa nel pugno, per cercare di stimolare i ”quasi buoni a niente”. Perché pensavo: se ”il capace di tutto” va a sbattere, bisogna im-pedire che sbatta con tutto il Paese. E lì fummo determinanti, perché portammo via 400 mila voti a Berlusconi». Ma in quell’occasione ci fu una convergenza elettorale con Silvio. «Lui aveva molta stima nei miei confronti. Fu un suo atto di liberalità a farci avere diversi eletti: 6 deputati e 2 senatori. Allora gli piaceva ancora essere l’antipartitocrate liberale. Ma piano piano la storia ci insegue... e dal ”96 è diventato l’ultimo di loro. Da quel momento per lui è finita la novità che lo aveva molto motivato in politica, e ha avuto bisogno di distrarsi: forse è lì che ha cominciato ad andare a puttane». Qualche aneddoto personale sul suo conto? «Mi ricordo quando andai a Drive In. Parlai con lui e c’era Confalonieri. Mi dissero: non abbiamo spazio politico in cui ospitarti. Di molto popolare per ora abbiamo solo Drive In, ma è una trasrnissione di intrattenimento: belle cosce, comici, quelle cose 1ì. Io dico: va benissimo. E vidi uno sguarclo sgomento. Sembrava dicesse: questo fa lo sciopero della fame, fa il radicale e... vuole andare a Drive In? Mi colpì l’ingenuita. e qualche volta f in-qenuitiì ha parente- la con l’innocenza. Un’altra volta mi invitò a Natale a a Sankt Moritz. Mi disse: vieni, siamo solo io, i bambini e Veronica - lei era molto simpatizzante dei radicali. Per convincermi mi raccontò che mamma Rosa gli diceva sempre: l’unico di cui puoi fidarti è Pannella. Io non c’andai, pensavo di trovarmi in mezzo a gente che non mi andava. Invece erano veramente solo loro, così per Capodanno mandò un aereo a prendermi e festeggiammo insieme». Lei ha definito Emma Bonino l’’Obama europea”: riuscirete a candidarla per le Regionali nel Lazio? «Quando lanciammo ”Emma for president”, successe una cosa senza precedenti: una donna, radicale - e cioè una che era favorevole a tutte quelle cose per cui veniamo messi sempre all’indice, tipo aborto, froci, lesbiche... - una così era in testa a tutti i sondaggi, senza andare in Tv e senza nessun mezzo d’informazione che la sostenesse. Una cosa che è durata dei mesi. Aprile ”99: a dieci gioni dalla convocazione del Parlamento per eleggere il nuovo presidente, Emma era in testa nei sondaggi di 40 punti, 65% contro poco più del 20 degli altri. E in Parlamento c’era un movimento che la sosteneva. Poi Berlusconi bloccò tutto. Ma la vicenda di ”Emma for president” ricorda molto da vicino la storia di Obama. La nostra lista sarà presente alle Regionali: vedremo».