Stefano Semeraro, La stampa 3/12/2009, 3 dicembre 2009
Pericolo Playstation Dopo Murray cede anche Benzema- Sono giochi pericolosi perché ti costruiscono un mondo che non c’è davanti agli occhi, nelle orecchie, nei sogni, ti scollano da quello vero
Pericolo Playstation Dopo Murray cede anche Benzema- Sono giochi pericolosi perché ti costruiscono un mondo che non c’è davanti agli occhi, nelle orecchie, nei sogni, ti scollano da quello vero. E non fa differenza se sei uno sconosciuto adolescente alla periferia di Tokyo, oppure Karim Benzema, stella del Real Madrid, o Andy Murray, il numero 4 del mondo nel tennis. Rischi lo stesso di diventare un hikikomori, un segregato di Internet, della playstation, dell’iPod, un campione di solitudine. Di Benzema, a Madrid, sussurrano che sarà il prossimo Anelka, il «puntero» francese che con il Bernabeu non legò mai. Karim è un corpo estraneo nella squadra e nella città, in quattro mesi non ha imparato una parola di spagnolo, non capisce gli schemi, vive male l’abito da galactico che il trasferimento dal Lione gli ha cucito addosso. Segna poco ed è finito anche fuori strada con la macchina, rischiando una solitudine più definitiva. Mai un sorriso, tanta fatica a capire il gioco, e quattro chiacchiere solo con Lassana Diarra, l’altro francese, per il resto ore e ore in una stanza, con le cuffie addosso e i pollici scatenati sulla tastiera elettronica. Tanto che il Real ha fatto scattare un piano di emergenza. Gli ha messo alle costole un insegnante di spagnolo, lo ha trasferito di peso dalle suites spersonalizzate del residence Mirasierra a un appartamento a La Finca, dove vivono anche Cristiano Ronaldo, Guti, Raul e Xabi Alonso. Kim Sears, la fidanzata - anzi la ex fidanzata - di Andy Murray, ha seguito un protocollo più radicale: se n’è andata. Ha piantato il campioncino scozzese e la sua playstation, la PS3, la casa da cinque milioni di sterline sulla riva del Tamigi, ed è tornata da mammà. Pare che Andy passi una media di sette ore al giorno a fingersi guerriero dentro la realtà virtuale di Call of Duty, un gioco di ruolo che ha come scenario la Seconda Guerra Mondiale. Troppe, anche se secondo l’addetto stampa dello scozzesino «Andy in questo non è diverso da tutti gli altri 22enni come lui». Un’abitudine sì, ma borderline, una droga mentale o più semplicemente una difesa da un mondo fatto sì di viaggi, alberghi di lusso, montagne di sogni e orge di celebrità. Ma anche di tensioni, paure, ansie da prestazione, fuori e dentro il campo. Della paura costante di non essere adeguati agli standard di eccellenza che il mondo pretende di veder rispettati con selvaggia puntualità. C’è chi per difendersi dal Grande Gioco dello sport sceglie l’alcol e la vita spericolata - come Adriano, come Bode Miller, come Maradona - e chi ripiega su una console diversa. Anche il fenomeno dei fenomeni olimpici, il nuotatore Michael Phelps, ha sempre due auricolari che gli ciondolano dalle orecchie, la costante presenza della madre al fianco. E quando tenta una bracciata nel mondo reale annaspa, si fa beccare mentre luma una lap-dancer o con uno spinello in mano, disarmato come un qualsiasi nerd. L’uomo è un animale sociale, diceva un vecchio saggio, e anche i campioni sono uomini. Guai a non capire su quale mondo - vero o virtuale - compare la scritta «game over» quando spingi il bottone.