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 2009  dicembre 03 Giovedì calendario

Le regole e le forbici (impossibili) per tagliare le poltrone inutili- «Taglieremo cinquantamila poltrone!» proclamava il leghista Roberto Calderoli: mentre i suoi ne occupavano una in più

Le regole e le forbici (impossibili) per tagliare le poltrone inutili- «Taglieremo cinquantamila poltrone!» proclamava il leghista Roberto Calderoli: mentre i suoi ne occupavano una in più. Pizzicato da Gianfranco Fini a votare con la tesserina del suo collega Ettore Pirovano, assente causa doppio incarico, il deputato del Carroccio Nunziante Consiglio è stato risarcito di quella figuraccia rimediata alla Camera. Giovedì scorso l’hanno nominato presidente delle Tramvie elettriche bergamasche. Consiglio ha così sostituito Gianfran­co Ceruti, ex consigliere regionale azzur­ro, alla guida dell’azienda pubblica con­trollata pariteticamente dal Comune e dalla Provincia orobica, ente presieduto guarda caso proprio dall’onorevole Piro­vano. Il quale in questo modo ha con­sentito anche all’onorevole Consiglio di accedere al sempre più frequentato (so­no ormai un centinaio) circolo degli onorevoli con doppio o triplo incarico. E la legge? Quella del 1953, la numero 60, che i padri della Repubblica vollero intitolare «Incompatibilità parlamenta­ri »? L’articolo 2 non vieta forse ai mem­bri del Parlamento di «esercitare funzio­ni di amministratore, presidente, liqui­datore, sindaco o revisore» di «enti che gestiscano servizi di qualunque genere per conto dello Stato o della pubblica amministrazione»? Vecchiume. Nel 1953 Pirovano aveva quattro anni. Con­siglio, invece, non esisteva nemmeno nei pensieri dei suoi futuri genitori. Norme anacronistiche, per chi il dop­pio incarico addirittura lo teorizza. E magari dirà pure che in questo modo, se proprio non si riescono a tagliare le poltrone, almeno si riduce il numero di quelli che le occupano. Per giunta, ri­sparmiando qualcosina. Nessuno stupo­re, perciò, che una norma rigorosa per impedire gli incarichi multipli sia pro­prio fra le cose che mancano nel Codice delle autonomie trionfalisticamente pre­sentato alla stampa dal ministro Calde­roli dopo il Consiglio dei ministri che l’ha approvato il 19 novembre. Una rifor­mina che, com’era prevedibile, sta in­contrando qualche ostacolo. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ne vor­rebbe anticipare un pezzo nella Finan­ziaria. I famosi tagli al numero dei consi­glieri comunali, degli assessori, conditi con un limite agli stipendi dei consiglie­ri regionali, che non avrebbero in alcun caso potuto guadagnare più dei parla­mentari. E qualche sfoltita qua e là alle categorie meno potenti, come i difenso­ri civici comunali. Ma per ora la Camera non gliel’ha passata. Le sforbiciatine non avrebbero co­munque effetti immediati, visto che la riduzione dei posti non sarebbe operati­va che dopo la scadenza dei consigli e delle giunte attualmente in carica. Per­ché allora metterle nella Finanziaria? Ma perché nella legge di bilancio, che dev’essere approvata tassativamente en­tro il 31 dicembre, il taglio delle poltro­ne sarebbe al riparo delle imboscate par­lamentari: pressoché scontate durante l’iter di qualunque legge, figuriamoci di questa. Agguati che avrebbero la conse­guenza di massacrare ulteriormente una riforma già abbondantemente edul­corata rispetto la versione di partenza. Sparito il colpo di spugna sugli enti «dannosi». Tribunali delle acque, autori­tà d’ambito territoriale, enti parco regio­nali, consorzi di bonifica, bacini imbrife­ri montani, difensori civici provinciali, commissari per la liquidazione degli usi civici: tutti salvi. Addolcita la pillola per i consorzi comunali, che dovrebbero scomparire dopo un anno dall’approva­zione del codice. Ma non tutti: anzi, qua­si nessuno, dato che «sono esclusi dalla soppressione» quei consorzi che all’en­trata in vigore della legge gestiscano ser­vizi in comune fra enti locali. E sfumata anche la fatidica abolizione delle comu­nità montane. Perché non verranno can­cellati quegli enti ma soltanto le norme statali che li riguardano. Con i relativi finanziamenti. Ad abolirli ci penseran­no semmai le Regioni. Per non parlare delle Province: costano 17 miliardi di euro e in campagna elettorale Silvio Ber­lusconi aveva promesso di eliminarle. Macché. Saranno invece «razionalizza­te » con decreti legislativi da scrivere in due anni dopo che il codice sarà stato varato. Di concreto era rimasta la sola ridu­zione delle poltrone. Misura che colpi­rebbe soprattutto piccoli e piccolissimi comuni dove i consiglieri, spesso, nem­meno incassano i simbolici gettoni di presenza. Anche qui, poi, in seguito alle pressioni degli enti locali, il taglio era stato ridimensionato dal 35% dei posti stabilito inizialmente a circa il 20%. E ar­rivati a questo punto, meglio blindare almeno quello. Sempre che ci si riesca. Tremonti e Calderoli sono convinti che l’emendamento alla Finanziaria, arena­tosi al suo sbarco in Parlamento, alla fi­ne passerà. In caso contrario, preparino i sacchetti di sabbia.