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 2009  dicembre 03 Giovedì calendario

«Incompatibilità per chi ha ricoperto cariche pubbliche» Dicono che a Verona, una città dove la destra è sempre stata forte (in fondo il Msi nacque proprio qui) alle ultime votazioni il quaranta per cento degli ex elettori di An abbia preferito la Lega al Pdl

«Incompatibilità per chi ha ricoperto cariche pubbliche» Dicono che a Verona, una città dove la destra è sempre stata forte (in fondo il Msi nacque proprio qui) alle ultime votazioni il quaranta per cento degli ex elettori di An abbia preferito la Lega al Pdl. Chiacchiere, forse. Stime esagerate, probabilmente. Ma che un travaso di voti ci sia stato, è un dato di fatto evidente. Come evidenti sono altri segnali, che hanno pure un nome e un volto. Ad esempio quelli di Marco Pezzotti e di Vincenzo Bonomo: il primo è sindaco di Tregnago, il secondo di Angiari: erano due dei dieci sindaci di An in provincia di Verona, ora sono passati entrambi alla Lega. Un altro volto che è lì a dimostrare il trasloco in corso è quello di Fabio Venturi, trentenne. Era una giovane promessa del partito di Fini, per due mandati consigliere di circoscrizione quinta a Verona, quella di Borgo Roma, un quartiere popolare. Ha lasciato An, è passato alla Lega e ora di quella circoscrizione è presidente: «Meno di due anni fa abbiamo aperto una sezione e ora abbiamo già 405 iscritti: siamo la sezione più grande della provincia di Verona. E tenga conto che è un quartiere con molti immigrati», spiega. Venturi è anche capogruppo leghista in consiglio provinciale. «Ero della destra sociale – racconta ”: Fini mi ha deluso. Ma anche la struttura di An. Ora, poi, nel Pdl non ha più un’identità. E la forza della Lega è soprattutto quella di avere un’identità». Sono molte le lamentele del popolo di destra di Verona contro Fini. Le sue uscite sugli immigrati. Ma non solo. Anche un difetto che, guarda caso, è lo stesso che Fini rimprovera a Berlusconi: l’essere un monarca. «Quando Fini dice che il Pdl è una caserma, mi viene in mente un vecchio detto di un filosofo latino: chi non può più dare l’esempio, si mette a fare il censore», dice Vittorio Di Dio, assessore ai lavori pubblici del Comune di Verona, una vita nel Msi, poi in An, ora nel Pdl. «Quando c’era An – continua Di Dio – Fini ha fatto tre congressi: uno di fondazione, uno a metà percorso, e uno di scioglimento. Ma di quale libertà di discussione va parlando ora? Con lui non c’è mai stata. C’era più dibattito nel vecchio Msi: ai congressi ci tiravamo anche le sedie in testa». Non è, per Di Dio, solo un problema di scarsa dialettica interna: «Naturalmente no, il mal di pancia è anche sui contenuti. Secondo Matteoli, che è sempre stato finiano, quel che dice Fini non fa più parte della cultura di destra. Ha perfettamente ragione. Fini sta percorrendo una strada che non è quella che abbiamo percorso insieme». Un leader non può cambiare idea? Aggiornare la sua politica? «Io non credo che a quell’età si possa cambiare idea. Ma se anche fosse sincero, Fini dovrebbe avere l’onestà di ripresentarsi agli elettori. Guardi: noi per tradizione siamo abituati a seguire il capo. Ma quando il capo fa tante giravolte, e per giunta senza consultare nessuno, è chiaro che la base resta disorientata». L’assenza di dibattito interno è uno dei motivi che ha spinto a lasciare An un altro storico personaggio della destra veronese, l’ex senatore Paolo Danieli, ora passato con il Movimento per l’Italia di Daniela Santanchè. «In An la classe dirigente apprendeva i cambiamenti di linea dai giornali. Fini non ha mai chiesto pareri a nessuno, ha sempre agito da dittatore. Con la complicità, devo dire, dei suoi colonnelli». Danieli ha aperto in città un circolo culturale che si chiama L’Officina per tenere viva la cultura di destra, visto che «in Fini – dice – di destra non è rimasto niente». «Quando ero senatore – continua – lui mi diceva sempre che ero leghista perché sono favorevole al federalismo. Ma il vero leghista è lui, che con le sue svolte ha regalato a Bossi un sacco di voti». Voti che hanno portato ad esempio all’elezione all’europarlamento di un giovane leghista, Lorenzo Fontana. Ha 29 anni. Gli ex di An lo hanno votato quasi in massa, preferendolo al candidato del Pdl. «E’ da un paio d’anni – dice – che c’è questa fuoruscita in nostro favore. Molti di loro hanno capito che la Lega è federalista, non più secessionista come nel ”96, e così è caduta la pregiudiziale sull’unità nazionale». «Almeno la Lega ha tanti temi comuni a quello del vecchio Msi», conferma Massimo Mariotti, da sempre esponente di spicco della destra veronese, oggi vicino ad Alemanno e presidente dell’azienda dei trasporti pubblici, la Amt. «Se non parla di secessione o di anti-meridionalismo, noi la seguiamo. Fini ormai non difende più neanche uno dei nostri valori». Ma è tutta colpa di Fini? Il senatore Maurizio Saia, ex An e ora Pdl, è uno di quelli che il tema degli extracomunitari l’ha sempre avuto a cuore: è stato – nella sua città, Padova – il primo assessore alla sicurezza in Italia. Ed è convinto che sull’integrazione Fini abbia ragione. «Il problema – dice – è che non riusciamo a spiegare le sue posizioni. E sa perché? Perché il Pdl non esiste. Non è sul territorio. Non ci sono più nemmeno le sezioni. Ecco perché la gente scappa con la Lega, che ha radici nel popolo. Il disagio c’è, non lo nego. Ma il vero guaio è che non c’è il Pdl». Un’analisi confermata dai numeri. Alleanza nazionale a Verona aveva quindici circoli: oggi più neppure uno. Il tesseramento per il Pdl procede a rilento: a Trento, in due mesi, hanno raccolto quindici iscritti: la sola An ne aveva duemila. Ma per Mariotti anche di questo il colpevole è Fini: «Non doveva lasciar morire il partito sciogliendolo nel Pdl», dice. E sono sempre di più quelli che la pensano così.