Attilio Bolzoni, la Repubblica 3/12/2009, 3 dicembre 2009
Dagli omicidi a pentito anti-premier "U´ Tignusu" adesso studia teologia- il protagonista di un caso unico: un traditore che non viene "maledetto" dalla Cupola ROMA - il suo debutto pubblico
Dagli omicidi a pentito anti-premier "U´ Tignusu" adesso studia teologia- il protagonista di un caso unico: un traditore che non viene "maledetto" dalla Cupola ROMA - il suo debutto pubblico. E sarà solo contro tutti. Lui e il suo passato, lui e le sue parole, lui e le sue accuse contro Marcello Dell´Utri e Silvio Berlusconi. Il mafioso che si è pentito avrà soltanto una certezza: non sarà maledetto da quello che chiamava Madre Natura e venerava come un dio, Giuseppe Graviano, il boss di Cosa Nostra al quale ha consegnato per venticinque anni la sua vita. La prima volta di Gaspare Spatuzza è anche la prima volta di una mafia che non si incarognisce con i suoi traditori. Qualunque cosa dirà e qualsiasi nome farà, lo sa che i signori della Cupola questa volta non lo considereranno un «infame». U´ tignusu - il pelato è il soprannome che avevano dato a Gaspare Spatuzza - farà la sua parte. E se glielo chiederanno, pubblici ministeri e avvocati difensori, parlerà di quello che deve parlare. Del «paesano nostro», il senatore Dell´Utri. E di Silvio Berlusconi, il capo del governo. Racconterà ciò che gli ha raccontato il suo padrone, Giuseppe Graviano, alla vigilia dell´attentato allo stadio Olimpico nel gennaio 1994: «Mi ha detto che tutto si era chiuso bene, che avevamo ottenuto quello che cercavamo.. Mi ha detto che le persone che hanno portato avanti la cosa erano affidabili. A quel punto mi ha fatto il nome di Berlusconi». Nell´aula bunker di Torino - attraverso le parole dell´uomo d´onore Gaspare Spatuzza della "famiglia" di Brancaccio - la Cosa Nostra siciliana regolerà i suoi conti con quei personaggi con i quali, secondo lui e altri tre pentiti (Pietro Romeo, Salvatore Grigoli e Giuseppe Ciaramitaro), aveva stipulato il patto che portò alle stragi mafiose del ”93. Giuseppe Graviano non gli spiegò perché, gli disse soltanto: «L´attentato all´Olimpico serve a dare il "colpo di grazia" e ormai abbiamo il Paese nelle mani…». Ripeterà quello che ha già confessato ai magistrati di Firenze. A marzo. A maggio. A giugno. A luglio. la confessione che ha fatto riaprire l´inchiesta sulle bombe a Firenze e Roma e Milano, risucchiando nelle indagini Autore 1 e Autore 2, Silvio Berlusconi e Marcello Dell´Utri, già indagati quindici anni fa per le stragi e poi - nel 1998 - «archiviati» come presunti mandanti esterni. E Gaspare Spatuzza ripeterà anche quello che ha ripetuto sui soldi di Giuseppe e Filippo Graviano, le simpatie per il Cavaliere, sulla loro latitanza - «anomalissima», ricorda - a Milano. Dove li hanno arrestati i carabinieri il 27 gennaio 1994. Dove (a Milano) si sentivano più protetti che a Brancaccio. L´ha spiegato Spatuzza, così: «Filippo in carcere mi parlava di Borsa, di Tizio e di Caio, di investimenti e di titoli. Abbiamo parlato anche di Telecom, Fiat, Piaggio, Colaninno, Tronchetti Provera, ma la Fininvest era un terreno di sua pertinenza, come se fosse un suo investimento, come se fossero soldi messi di tasca sua». E ancora: «Potrei riempire pagine e pagine di verbale dell´amore che lega Filippo a Berlusconi e a Dell´Utri, Filippo era attentissimo nel seguire gli scambi, teneva in considerazione la questione Fininvest, gli investimenti pubblicitari. Mi diceva meraviglie di "Striscia la Notizia": minimo investimento, massima raccolta di spot, introiti da paura». Sarà lui, Spatuzza, il mattatore dell´udienza contro Marcello Dell´Utri. Mafioso redento, neo iscritto a Teologia (sei, gli esami già sostenuti nel carcere di Ascoli Piceno dove era rinchiuso), notti insonni passate a leggere "Le cinque grandi religioni del mondo" di Emma Brunner-Traut e "Dio uno e Trino" di Piero Coda, una voglia di «cacciare il male» che si è portato dentro per tanto tempo. Quando Madre Natura ordinava, lui ubbidiva. Come il 23 novembre del ”93, quando insieme ad altri cinque era andato a prendere al galoppatoio il piccolo Giuseppe, il figlio del pentito Santo Di Matteo. Lui e gli altri avevano addosso una blusa da poliziotti, l´auto con il lampeggiante della polizia, portavano parrucca e barbe finte. Lo rapirono il bimbo. E lo consegnarono a un altro macellaio, Giovanni Brusca. Dopo 799 giorni di prigionia, Giuseppe pesava trenta chili. L´hanno strangolato. O come la sera del 15 settembre 1993, quando con Salvatore Grigoli si avvicinò a don Pino Puglisi e lo uccise mentre il prete gli sorrideva. Omicidi. Sempre omicidi. Gaetano Buscemi. Giuseppe e Salvatore Di Peri. Giovanni Spataro. Domingo Buscetta, il nipote di Tommaso. Marcello Grado. Uno degli altri sicari, Giuseppe Ciaramitaro, ha confessato al pubblico ministero Alfonso Sabella: «Un giorno avevamo appena strangolato un ladro e c´era venuta fame. Ho comprato i panini: Spatuzza cu ”na manu manciava e cu l´avutra arriminava». In una mana aveva il panino, nell´altra il mestolo che serviva ad ammormidire tibie e femori dell´uomo che stava sciogliendo nell´acido.