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 2009  dicembre 02 Mercoledì calendario

”Non siamo Dubai Abbiamo il petrolio”- Antichità Mar Rosso, «qui si riparano tappeti», e i cantieri di Masdar, la città che vuole essere la prima al mondo ad impatto ambientale zero

”Non siamo Dubai Abbiamo il petrolio”- Antichità Mar Rosso, «qui si riparano tappeti», e i cantieri di Masdar, la città che vuole essere la prima al mondo ad impatto ambientale zero. La pasticceria Al Youssuf, splendido bancone di marmo con bilancia di tempi lontani, e il «Piano 2030» che nel giro di vent’anni promette di cambiare la faccia e l’anima della città e forse dell’intera regione. Bastano centotrenta chilometri di autostrada - traffico magmatico a testimoniare l’intensità di relazioni, deserto attorno sempre più conquistato dai cantieri - e lo scintillare artificiale e oggi un po’ appannato di Dubai lascia il posto alle sicurezze, vecchie e nuove, di Abu Dhabi.  l’altra faccia degli Emirati? Sì, anche se proprio oggi lo Sceicco Khalifa bin Zayed Al Nayhan, a capo del governo della città-Stato e presidente degli Emirati Arabi Uniti, celebrerà ad Abu Dhabi il trentottesimo anniversario dell’Unione. Ma certo, di fronte all’impero di Dubai che oggi vede tremare la sua ricchezza costruita sulla sabbia, l’Emirato più importante dell’intera Unione trova le sue radici ben sotto la sabbia, là dove stanno i giacimenti. «La differenza maggiore tra Dubai e Abu Dhabi? In una delle maggiori banche della città-stato ti snocciolano i dati: «Ovviamente il fatto che qui abbiamo oltre il 90% delle riserve petrolifere degli Emirati, che si estraggono poco meno di 3 milioni di barili il giorno, che abbiamo il 7,4% delle riserve di petrolio e siamo il terzo esportatore mondiale». Insomma Abu Dhabi ha risorse enormi e una potenza finanziaria che esonda dai suoi confini. Per questo non è solo polo di attrazione di investimenti, ma anche un attivissimo investitore estero. Sia attraverso il fondo sovrano Adia - un patrimonio di 800 miliardi che dopo la grande crisi si sarebbe ridotto attorno ai 600 - sia con Mubadala, che più che un fondo sovrano va considerata una vera propria ”investment company” che ha come unico azionista la famiglia regnante. Ma differenza di risorse a parte anche ad Abu Dhabi hanno deciso di lanciarsi in un’avventura epocale. Un’avventura che ha però obiettivi diversi da quelli di Dubai. «Il nostro piano 2030 - spiega il viceministro e direttore generale per lo Sviluppo economico Mohamed Omar, è diventato parte integrante del programma politico di Abu Dhabi ed ha come obiettivi principali quello di assicurare una crescita sostenibile nel Paese, di rafforzare le imprese private e di assicurare una distribuzione migliore della ricchezza nelle varie aree di Abu Dhabi». Il progetto per farlo - affidato alla guida del principe ereditario Mohamed - è grandioso. Nell’arcipelago che sta attorno ad Abu Dhabi - essa stessa costruita su un’isola - nascono le città satellite dedicate. Quella per la cultura sarà sull’isola di Sadyaat dove i grandi nomi dell’architettura mondiale hanno disegnato le sedi del Louvre, della collezione Guggenheim, di un centro per le arti teatrali firmato dalla stessa Zaha Hadid del Maxxi di Roma. Sull’isola di Yas, invece, con un progetto da 40 miliardi di dollari sta nascendo il polo del divertimento. Il Ferrari World, il più grande parco a tema del mondo al coperto sarà completato per il 2010, e presto seguiranno altri due parchi tematici. Il circuito di Formula 1 Yas Marina ha già avuto il suo battesimo di successo a novembre. Tra gli sponsor del Gran Premio proprio Mubadala, che è anche azionista con il 5% della Ferrari. E poi, per l’appunto, Masdar. Per ora è solo un immenso cantiere nel deserto e il guardiano all’ingresso ridacchia quando gli chiedi se è questa la città ”verde”. Ma nel 2012 dovrebbero vedersi i primi abitanti di questo centro, completamente alimentato da energia solare e senza impatto ambientale, che alla fine dovrebbe ospitare 50 mila persone. «Abu Dhabi ha saputo fare bene lobby nel settore dell’energia - commenta l’ambasciatore italiano negli Emirati Paolo Dionisi - e oltre ad aggiudicarsi la sede dell’agenzia internazionale per le energie rinnovabili appena creata, a gennaio terrà il terzo summit mondiale dell’energia». Ma nell’impegnatissima e meno «glamour» Abu Dhabi in fondo sono soddisfatti per lo scivolone dei vicini? «No, non dobbiamo mica concentrarci su Dubai World; guardiamo invece le tante altre esperienze di successo che ci sono là, dalla costruzione di una modernissima metropolitana a un centro medico d’eccellenza», spiega Ibrhaim Al-Abed, direttore generale del Consiglio Nazionale delle Comunicazioni. E negli uffici del governo c’è chi cita il Profeta per il quale «se una parte del corpo fa male tutte le altre corrono in suo soccorso», e lasciando così intendere che le difficoltà di Dubai rafforzeranno il legame tra gli Emirati invece di allentarlo. Cooperazione e competizione procedono a braccetto. Gli eserciti nazionali si sono di fatto fusi. Si lavora fianco a fianco in settori strategici come l’alluminio - la Emal, una delle più grandi fonderie al mondo è una joint venture tra Mubadala e la Dubai Aluminim - ma poi ci fa concorrenza quasi uno a casa dell’altro. Il nuovo aeroporto di Dubai sorgerà a pochi chilometri dalla frontiera con Abu Dhabi, il porto che la capitale federale sta costruendo è a 20 chlometri da quello di Dubai, per non parlare delle due compagnie aeree, la Emirates e la Eithad, che mai si fonderanno. «Ma la nostra idea è che ci sia spazio per tutti - commenta un interlocutore bancario - visto che questo è uno snodo strategico tra il mondo occidentale e quello orientale». E se Dubai vuol’essere la porta commerciale tra i due mondi, Abu Dhabi punta a un ruolo ancora più globale: dalla cultura, al tempo libero, all’energia. Senza dimenticare il vecchio e sicuro petrolio, naturalmente.