Giorgio Lonardi, Affari & Finanza, 30/11/2009, 30 novembre 2009
SCARPE, UN FUTURO DI CORSA "MA ORA SERVE UNA STRATEGIA"
Scarpe, un futuro di corsa "Ma ora serve una strategia"
Archiviato un 2009 orribile per i prodotti "made in Italy" si apre, secondo una ricerca di Cva per Anci, un quadriennio in netta ripresa
GIORGIO LONARDI
Dal 2010 al 2013 il mercato mondiale delle calzature tornerà a crescere al ritmo del 4,5% annuo. Certo, ci vorrà del tempo per rimarginare le ferite inferte dalla crisi ad un settore strategico del made in Italy come quello della scarpa (6 mila aziende, 86 mila addetti, 221 milioni di paia esportate nel 2008) nel corso del 2009. Ma adesso finalmente si apre uno spiraglio. A condizione però di saperlo sfruttare con intelligenza scegliendo le strategie e mercati su cui puntare. Ed è proprio questo l’obiettivo che si è posto l’Anci, l’associazione imprenditoriale dei calzaturieri, che nei giorni scorsi ha scelto la Fiera di Rimini per un convegno centrato su una bella sfida: «Quale futuro post crisi per l’Italia?»
Intanto occorre precisare che la crisi è stata proprio brutta. Fra gennaio e giugno, infatti, l’export di scarpe è calato del 16%. Ma non basta. In una serie di paesi chiave come gli Stati Uniti l’export italiano (’28,6%) cala più dell’intero mercato (’9%). Stessa musica in Russia (mercato ”3%; made in Italy ”25%) e in Germania (mercato – 6,6%, made in Italy – 12,6%). E allora, in che modo si spiega questa debacle?
Come precisa Paola Leoni, senior partner di Corporate Value Associates (Cva), illustrando una ricerca effettuata per conto di Anci, la calzatura made in Italy deve muoversi laddove si sta sviluppando il mercato. Ed evitare di concentrare la propria offerta nella fascia mediofine, proprio quella che negli ultimi mesi ha subito i tracolli maggiori in Russia e negli Usa. Al contrario per la ricerca di Cva bisogna tenere presente che nel quadriennio 20102013 «la fascia di prodotti con prezzo superiore ai 250 euro crescerà fra il 6% e l’8% cento annuo; quella fra i 100 e i 250 dovrebbe attestarsi fra il 5% e il 7% mentre la porzione fra i 50 e i 100 euro si espanderà fra il 2% e il 4% all’anno». Tre segmenti, sottolinea Leoni, dove il made in Italy è storicamente ben radicato.
Davanti alla scarpa italiana si presentano quindi diverse occasioni. A patto di avere l’accortezza di puntare su «un’identità di brand chiara e coerente nel tempo», sottolinea Leoni, «e individuando i bisogni e le attitudini di consumo emergenti cui possono rispondere meglio». In altre parole «bisogna scegliere», incalza, «non si può pretendere di presidiare tutte le fasce di mercato: bassa, media e alta. Ma occorre puntare su un’offerta distintiva rispetto alla competizione globale».
Osserva Vito Artioli, presidente dell’Anci: «Ci sono elementi positivi da monitorare con attenzione nel corso dei prossimi anni. Ad esempio l’aumento complessivo delle donne che entreranno nel mondo del lavoro, quindi la crescita degli "ultraricchi" nei mercati emergenti e una ripresa del ciclo economico che, progressivamente, riporterà i consumatori nei negozi». Artioli, inoltre, ricorda l’importanza del «saper fare italiano», quel cocktail fra stile, cultura, qualità, ispirato ad una fattura artigianale raggiunta con metodi industriali e illustrato qui a Rimini da un video a cura di Paolo Premoli.
In questo quadro, secondo Cva, si schiudono ampie praterie per chi avrà l’audacia di puntare sulle nicchie di mercato. A cominciare dalla carta della sostenibilità ambientale (emblematica la sfida del brand Manas di Cleto Sagripanti che ha lanciato in Cina il primo negozio in cartone) o etica, differenziandosi così dalla concorrenza asiatica. Un’altra opportunità è quella dell’innovazione hitech centrata su nuovi materiali e su nuove tecnologie. Senza contare la possibilità di stressare al massimo la ricerca stilistica ed estetica per differenziare l’offerta. O anche la decisione di sviluppare un’offerta centrata su un rapporto qualitàprezzo talmente conveniente da risultare più competitiva di quella dei brand più noti.
Comunque attenzione: a patto di avere «una identità di marca chiara e coerente» le scelte vincenti possono essere molteplici. Lo sa bene Gimmi Baldinini che ottiene l’80% del suo fatturato in Russia dove il marchio Baldinini ha una settantina di negozi monomarca dai duecento metri quadrati in su disseminati dal confine polacco fino a Vladivostok sulle rive del Pacifico. Ma non basta. Perché lui, Baldinini, oltre a puntare sulle scarpe di lusso («anche Putin è fra i miei clienti») ha esteso la sua offerta dalle borse alle maglie («solo cachemire») dai giacconi in pelle, agli abiti «purché siano di lusso» senza disdegnare occhiali e vini di pregio. Spiega: «In Russia funziona così: non puoi limitarti a vendere solo le scarpe»
Di segno opposto la scelta di Renzo D’Arcano a capo del Calzaturificio Frau. Ebbene, D’Arcano ha concentrato la sua offerta sul mercato italiano. E lungi dalla sviluppare una rete monomarca «non possiamo entrare in concorrenza», dice, «con i nostri clienti») serve 1.300 negozi su tutto il territorio nazionale. Il suo segreto, racconta «è di offrire un buon made in Italy di livello medio alto con un ottimo rapporto qualitàprezzo».