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 2009  dicembre 02 Mercoledì calendario

”Non sono fannulloni Navigano a vista e non hanno sogni” - Ormai ci sono pochi sbocchi anche per i sogni»

”Non sono fannulloni Navigano a vista e non hanno sogni” - Ormai ci sono pochi sbocchi anche per i sogni». Una riflessione amara. di Piero Amerio, professore emerito di Psicologia sociale dell’Università di Torino, autore di «Giovani al lavoro» (Il Mulino), risultato di un’indagine sui significati, prospettive e aspirazioni di duemila giovani torinesi tra i 20 e i 33 anni. Professore, partiamo dai dati Istat sulla disoccupazione giovanile in crescita. L’area tra i 15 e i 24 anni è la più colpita dalla crisi. « ovvio. Le aziende assumono giovani quando le condizioni di sviluppo o di turn over sono normali. Non è così durante i periodi di crisi. Men che meno in situazioni come quella attuale, che è molto più grave di quanto il più pessimista di noi poteva pensare». Sotto la lente c’è la rottura dei rapporti precari e l’esaurimento di gran parte dei contratti a termine. «Sì, ma non pensiamo esclusivamente ai precari dei call center, oppure ai giovani poco scolarizzati. E’ diventato difficile assumere anche quelli che hanno un titolo di studio e una preparazione di buon livello». E le nuove professioni? Le nuove strade aperte dall’evoluzione tecnologica? «Nella normalità sarebbe un processo naturale. Finiscono certe professioni, se ne aprono altre. Ma perché ciò avvenga dovrebbe funzionare il sistema. E così non è. Ci sono studiosi che hanno individuato un cambiamento del mondo della produzione e sottolineato il decentramento del capitalismo, che esclude l’Europa rispetto ad altri Paesi. E c’è anche chi sostiene, come l’economista Jeremy Rifkin, che il lavoro è morto. Io non sono d’accordo, penso che invece cambi. Ma quanti rimangono fuori da questo cambiamento? Credo molti più che in passato. Si aprono poche porte. Senza contare la scarsa formazione». In che senso? «Per accedere a nuovi lavori occorre una specializzazione, una scolarizzazione adeguata. In Italia quest’ultima è più bassa di quanto ci si aspetti. E laddove è alta, non è professionalizzante». La crisi non solo chiude le porte del lavoro, ma cambia anche la percezione del lavoro stesso. «Dalla nostra indagine è emerso che il giovane percepisce il lavoro anzitutto come guadagno. Poi come fatica, obbligo, ma anche come luogo dove impegnarsi. E questo soprattutto le donne. Non è vero quindi che le nuove generazioni siano aride, composte da fannulloni. Il problema è un altro: dove mettere questo impegno? Così, ci si riduce a navigare a vista, incapaci, impossibilitati a elaborare un progetto a lungo termine sulla propria vita. E se la speranza progettuale è minima a vent’anni...». Non guardano al futuro, al successo? «Dalla loro percezione del lavoro la componente del futuro è letteralmente scomparsa. E così quella del successo: uno dei ragazzi intervistati ci ha detto che si può raggiungere solo entrando nel mondo dello spettacolo, facendo il calciatore, oppure conoscendo qualcuno: con la furbizia, ma non lavorando». Dunque, addio sogno americano anche in Italia? «Non è così facile sognare sul piano del lavoro. Non lo è più per nessuno. Del resto, il clima non è certo da sogno americano». Forse incide anche la componente del pessimismo, sempre più diffuso. «Io non sono favorevole alla sua diffusione. Sono però per un pessimismo della ricerca, dei dati. Se i giovani sono pessimisti, e fanno progetti piccoli e corti, probabilmente c’è una ragione, no? Forse sono semplicemente realisti».