Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 02 Mercoledì calendario

Leggende e tragedie in cerca dell’Eldorado - Da quasi cinque secoli Pe­rù è sinonimo di Incas e il nome di questo popo­lo è legato in maniera in­dissolubile all’oro, al mito dell’El­dorado

Leggende e tragedie in cerca dell’Eldorado - Da quasi cinque secoli Pe­rù è sinonimo di Incas e il nome di questo popo­lo è legato in maniera in­dissolubile all’oro, al mito dell’El­dorado. Il primo contatto concreto con l’Eldorado tanto cercato, gli spagnoli lo ebbero quando l’Inca Atahualpa, catturato da Pizarro e rinchiuso in una cella nella città di Cajamarca, cercò di ottenere la li­bertà promettendo in cambio tan­to oro quanto ne poteva contenere la stanza dove era rinchiuso, riem­pita fino al punto in cui arrivava la sua mano alzata. Pizarro accettò l’offerta e fece stipulare un regola­re contratto dell’accordo. Così da tutto l’impero arrivò l’oro richiesto che però non fu suf­ficiente a salvare la vita ad Atahual­pa, strangolato dagli ufficiali spa­gnoli con l’assenso dello stesso Pi­zarro. Era il 26 luglio 1533. Da allora i galeoni cominciarono a portare in Spagna una quantità d’oro e d’argento che avrebbe cam­biato il corso della storia europea. Le antiche cronache raccontano di navi così cariche che si sfon­davano come ceste marce anco­ra prima di partire, o di oro fu­so in forma di proiettili e na­scosto negli affusti dei can­noni dai capitani che in que­sto modo cercavano di in­trodurlo in Europa senza doverne consegnare la par­te spettante al re. Nessuno saprà mai quanti capolavo­ri siano stati trasformati in lingotti e quanti siano finiti in fondo all’oceano. Le ricchezze attirarono nel Nuovo Mondo schiere di avventurieri con un solo obiettivo: l’oro. I porti e le ta­verne dell’Avana, di Cartage­na e di Lima si affollarono di personaggi decisi ad arricchirsi con qualsiasi mezzo; una massa critica che divenne rapidamente un problema di non facile gestione per i governatori della Nuova Spa­gna i quali, ricorrendo all’espedien­te tante volte utilizzato dagli in­dios per allontanare i conquistado­res, pur di sbarazzarsi di quella ciurmaglia dalle città, la incoraggiò a perlu­strare l’intero Conti­nente alla ricerca di tanti Eldorado, più o meno improbabili. Gran parte di quelle spedizioni scomparve nel nulla lasciando sulle piste del Suda­merica una quantità di cadaveri dif­ficilmente calcolabile; unico effet­to inatteso di tanti inutili sforzi fu la rapida e capillare esplorazione di gran parte del Sudamerica. Chi scampava alla morte, però, ritornava da quelle avventure con storie di città dai tetti d’oro, di bel­lissime Amazzoni e di uomini lette­ralmente coperti d’oro; tutte cose più sognate che viste, ma sufficien­ti a tenere vivo il mito dell’Eldora­do che ebbe il suo battesimo uffi­ciale nel 1536, quando lo spagnolo Sebastian de Belalcazar, sentendo raccontare di un capotribù che si tuffava nella laguna di Guatavita, non distante da Bogotà, completa­mente ricoperto di polvere d’oro, coniò per primo l’espressione «El indio Dorado», cioè l’Eldorado. «Durante la cerimonia alla lagu­na – raccontò nel 1636 un testimo­ne oculare – gli indigeni costruiro­no una zattera di giunchi addob­bandola coi loro oggetti più belli. Sopra vi misero quattro recipienti in cui bruciavano incensi e molti al­tri profumi... A quel punto spoglia­rono l’erede al trono dei suoi abiti e lo unsero con una pasta vischio­sa che cosparsero poi di polvere d’oro, ricoprendogli tutto il corpo di metallo. Lo fecero salire sulla zat­tera dove l’uomo rimase immobile e deposero ai suoi piedi un gran mucchio di oggetti d’oro e di sme­raldi affinché ne facesse offerta al dio delle acque. Insieme a lui saliro­no sull’imbarcazione quattro perso­naggi interamente adornati di piu­me, corone, braccialetti, ciondoli e orecchini d’oro. Anch’essi erano nudi e ciascuno reggeva un’offerta. Quando la zattera lasciò la riva, eb­bero inizio musiche e canti finché, quando la barca raggiunse il cen­tro della laguna, essi alzarono uno stendardo per imporre il silenzio. L’indio ricoperto d’oro fece allora la sua offerta gettando tutto l’oro nel lago e i capi che lo scortavano fecero lo stesso coi loro doni. Con questa cerimonia l’uomo dorato fu accolto e riconosciuto come signo­re e re». Un rito di investitura che sareb­be stato originato da una tragica storia d’amore. Un antico signore del luogo, narrava il mito, convinto che la moglie lo tradisse la uccise gettandola nel­la laguna ma, accorto­si poi del suo errore, cercò di riportarla in superficie tuffandosi ripetutamente in ac­qua. Fu tutto inutile anche perché la don­na, molto bella, era trattenuta sul fondo dal mostro della lagu­na che s’era innamo­rato di lei. Da quel giorno lontano, ogni nuovo capotribù doveva offrire oro e gioielli al mostro e tuffarsi per tentare di liberare la donna. Oggi Guatavita è una meta turi­stica ma pochi sanno che, molto probabilmente, sul fondo c’è davve­ro un tesoro per il cui recupero, so­prattutto nell’Ottocento, hanno per­so la vita diverse centinaia di perso­ne; tutte ingoiate dal mostro della laguna. Ora la ricerca dell’oro è proibita, ma ricordo bene d’aver vi­sto le sue rive sconvolte dalle zap­pe dai cacciatori di tesori. Nessuna legge può cancellare l’Eldorado dai sogni degli uomini.