Viviano Domenici, Corriere della Sera 02/12/09, 2 dicembre 2009
Leggende e tragedie in cerca dell’Eldorado - Da quasi cinque secoli Perù è sinonimo di Incas e il nome di questo popolo è legato in maniera indissolubile all’oro, al mito dell’Eldorado
Leggende e tragedie in cerca dell’Eldorado - Da quasi cinque secoli Perù è sinonimo di Incas e il nome di questo popolo è legato in maniera indissolubile all’oro, al mito dell’Eldorado. Il primo contatto concreto con l’Eldorado tanto cercato, gli spagnoli lo ebbero quando l’Inca Atahualpa, catturato da Pizarro e rinchiuso in una cella nella città di Cajamarca, cercò di ottenere la libertà promettendo in cambio tanto oro quanto ne poteva contenere la stanza dove era rinchiuso, riempita fino al punto in cui arrivava la sua mano alzata. Pizarro accettò l’offerta e fece stipulare un regolare contratto dell’accordo. Così da tutto l’impero arrivò l’oro richiesto che però non fu sufficiente a salvare la vita ad Atahualpa, strangolato dagli ufficiali spagnoli con l’assenso dello stesso Pizarro. Era il 26 luglio 1533. Da allora i galeoni cominciarono a portare in Spagna una quantità d’oro e d’argento che avrebbe cambiato il corso della storia europea. Le antiche cronache raccontano di navi così cariche che si sfondavano come ceste marce ancora prima di partire, o di oro fuso in forma di proiettili e nascosto negli affusti dei cannoni dai capitani che in questo modo cercavano di introdurlo in Europa senza doverne consegnare la parte spettante al re. Nessuno saprà mai quanti capolavori siano stati trasformati in lingotti e quanti siano finiti in fondo all’oceano. Le ricchezze attirarono nel Nuovo Mondo schiere di avventurieri con un solo obiettivo: l’oro. I porti e le taverne dell’Avana, di Cartagena e di Lima si affollarono di personaggi decisi ad arricchirsi con qualsiasi mezzo; una massa critica che divenne rapidamente un problema di non facile gestione per i governatori della Nuova Spagna i quali, ricorrendo all’espediente tante volte utilizzato dagli indios per allontanare i conquistadores, pur di sbarazzarsi di quella ciurmaglia dalle città, la incoraggiò a perlustrare l’intero Continente alla ricerca di tanti Eldorado, più o meno improbabili. Gran parte di quelle spedizioni scomparve nel nulla lasciando sulle piste del Sudamerica una quantità di cadaveri difficilmente calcolabile; unico effetto inatteso di tanti inutili sforzi fu la rapida e capillare esplorazione di gran parte del Sudamerica. Chi scampava alla morte, però, ritornava da quelle avventure con storie di città dai tetti d’oro, di bellissime Amazzoni e di uomini letteralmente coperti d’oro; tutte cose più sognate che viste, ma sufficienti a tenere vivo il mito dell’Eldorado che ebbe il suo battesimo ufficiale nel 1536, quando lo spagnolo Sebastian de Belalcazar, sentendo raccontare di un capotribù che si tuffava nella laguna di Guatavita, non distante da Bogotà, completamente ricoperto di polvere d’oro, coniò per primo l’espressione «El indio Dorado», cioè l’Eldorado. «Durante la cerimonia alla laguna – raccontò nel 1636 un testimone oculare – gli indigeni costruirono una zattera di giunchi addobbandola coi loro oggetti più belli. Sopra vi misero quattro recipienti in cui bruciavano incensi e molti altri profumi... A quel punto spogliarono l’erede al trono dei suoi abiti e lo unsero con una pasta vischiosa che cosparsero poi di polvere d’oro, ricoprendogli tutto il corpo di metallo. Lo fecero salire sulla zattera dove l’uomo rimase immobile e deposero ai suoi piedi un gran mucchio di oggetti d’oro e di smeraldi affinché ne facesse offerta al dio delle acque. Insieme a lui salirono sull’imbarcazione quattro personaggi interamente adornati di piume, corone, braccialetti, ciondoli e orecchini d’oro. Anch’essi erano nudi e ciascuno reggeva un’offerta. Quando la zattera lasciò la riva, ebbero inizio musiche e canti finché, quando la barca raggiunse il centro della laguna, essi alzarono uno stendardo per imporre il silenzio. L’indio ricoperto d’oro fece allora la sua offerta gettando tutto l’oro nel lago e i capi che lo scortavano fecero lo stesso coi loro doni. Con questa cerimonia l’uomo dorato fu accolto e riconosciuto come signore e re». Un rito di investitura che sarebbe stato originato da una tragica storia d’amore. Un antico signore del luogo, narrava il mito, convinto che la moglie lo tradisse la uccise gettandola nella laguna ma, accortosi poi del suo errore, cercò di riportarla in superficie tuffandosi ripetutamente in acqua. Fu tutto inutile anche perché la donna, molto bella, era trattenuta sul fondo dal mostro della laguna che s’era innamorato di lei. Da quel giorno lontano, ogni nuovo capotribù doveva offrire oro e gioielli al mostro e tuffarsi per tentare di liberare la donna. Oggi Guatavita è una meta turistica ma pochi sanno che, molto probabilmente, sul fondo c’è davvero un tesoro per il cui recupero, soprattutto nell’Ottocento, hanno perso la vita diverse centinaia di persone; tutte ingoiate dal mostro della laguna. Ora la ricerca dell’oro è proibita, ma ricordo bene d’aver visto le sue rive sconvolte dalle zappe dai cacciatori di tesori. Nessuna legge può cancellare l’Eldorado dai sogni degli uomini.