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 2009  dicembre 02 Mercoledì calendario

Italia, il (sostenibile?) peso della famiglia- Il successo economico di un paese dipende dalla sua organizzazione economica ma anche dalla struttura sociale che sostiene questa organizzazione

Italia, il (sostenibile?) peso della famiglia- Il successo economico di un paese dipende dalla sua organizzazione economica ma anche dalla struttura sociale che sostiene questa organizzazione. Una società fondata su rapporti familiari e interazioni sociali deboli, ad esempio, è relativamente mobile e flessibile e favorisce quindi la rapida ri-allocazione delle risorse alle imprese più produttive. Una società fondata su rapporti stretti di fiducia reciproca che si basano su un solido sistema di norme ha invece il vantaggio che può svilupparsi in assenza di sofisticati mercati del credito o di istituzioni che garantiscano forme avanzate di assicurazione sociale. Una accurata analisi del sistema economico di un paese non può quindi prescindere dallo studio di fattori quali la struttura della famiglia, le istituzioni che governano i rapporti tra la società civile e la società politica, il capitale sociale, i rapporti tra Stato e mercato, l’omogeneità culturale (anche religiosa) degli abitanti e così via. La teoria e la pratica dell’analisi economica stanno evolvendosi rapidamente in questa direzione, al punto che oggi si parla di «social economics» per definire quella parte della disciplina economica che pone società e cultura al centro della propria analisi. Il metodo è quello dell’economia, che combina modelli matematici e analisi statistica del comportamento individuale, ma i temi sono quelli classici della sociologia. A questo tipo di analisi si rifanno Alberto Alesina e Andrea Ichino in L’Italia fatta in casa. Indagine sulla vera ricchezza degli italiani (Mondadori, pp. 154, e17) per studiare l’economia del nostro paese. L’Italia è un meraviglioso laboratorio per questo tipo di studi perché qui più che altrove il ruolo della famiglia, della religione, della struttura civile e sociale ha effetti evidenti sull’organizzazione economica. In Italia più che altrove, infatti, la solida struttura di clan familiari ha saputo in alcune zone sostituirsi allo Stato per sviluppare una società e una economia (criminale) quasi indipendente. Ma è anche in Italia che l’impresa familiare ha saputo aggirare le rigidità del mercato del lavoro e del credito raggiungendo livelli di sviluppo unici. Non è sorprendente quindi che proprio in Italia siano ambientati i primi studi sul capitale sociale (quello di Robert Putnam, politologo di Harvard, che studia le diversità nella struttura sociale e istituzionale di diverse regioni) e sulla importanza economica dei tratti culturali (quello di Edward Bainfield, politologo alla University of Chicago negli anni 50, sul «familismo amorale» in Lucania). Il lettore non deve aspettarsi dal libro di Alesina e Ichino una prolusione moralisteggiante su quanto siano importanti famiglia, società e cultura, né un lamento sociologico o antropologico sugli aspetti malefici di alcuni dei tratti culturali distintivi del paese. Il libro è infatti opera di economisti attenti che, lavorando all’interno di un modello teorico ben definito, cercano di limitare le proprie affermazioni a quelle che possono supportare con i dati. Ed è proprio la misurazione e la quantificazione degli effetti di famiglia, società e cultura sull’economia italiana a costituire il cuore del saggio. Quanto pesa ad esempio l’economia domestica (l’insieme di beni e servizi prodotti all’interno della famiglia e al di fuori del mercato e quindi dalle statistiche ufficiali) in relazione al prodotto interno lordo del paese? Possiamo immaginare che l’economia domestica in Italia sia più sviluppata che non ad esempio negli Stati Uniti o nei paesi nordici (dopotutto la partecipazione femminile al mercato del lavoro in Italia è notoriamente tra le più basse all’interno dei paesi sviluppati). Ma quanto più sviluppata? E rispetto alla Spagna, paese cattolico e per molti aspetti simile all’Italia? A tutte queste questioni si trova risposta nel libro; e spesso più risposte, come è naturale in questioni complesse e controverse come questa. (Ebbene sì, una volta conteggiata l’economia domestica, produciamo ancora più della Spagna!). Ma è efficiente produrre una così larga parte dei beni e servizi consumati nel paese al di fuori del mercato? più efficiente una società in cui le madri lavorano e i bambini stanno all’asilo e a scuola buona parte della giornata, o una in cui è la madre (o la nonna) a occuparsi prevalentemente dei figli? più efficiente una società in cui operi un mercato funzionante di case di riposo o una in cui gli anziani vivono in famiglia (curati da badanti immigrate)? più efficiente una società in cui i giovani fanno tutte le scuole, compresa l’università, sotto casa, o una in cui i figli lasciano le famiglie a diciotto anni? Naturalmente non è pensabile che si possa dare risposte univoche a queste domande. Ma si può cercare di identificare i costi e i benefici relativi dei diversi sistemi di organizzazione economica e sociale e di quantificarli. Il libro di Alesina e Ichino si spinge più in là possibile in questa operazione. Si può discutere sui dettagli (speriamo che lo si faccia e non ci si fermi a discutere su chi è più ricco di chi in Europa), ma l’operazione intellettuale di quantificare gli effetti economici dei tratti culturali che ci caratterizzano come italiani e della struttura economica che essi supportano è di enorme importanza.