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 2009  dicembre 02 Mercoledì calendario

BIONICI/1


La mano bionica impiantata il 20 novembre 2008 ad un ragazzo italo-brasiliano di 26 anni, amputato fino all’avambraccio sinistro a causa di un incidente stradale, oggi gli permette di avvertire le sensazioni di presa, spinta e tatto. La mano, con dita in alluminio e palmo in fibre di carbonio, pesa due chili e si chiama Smart Hand (mano intelligente) perché in grado di comunicare con il cervello tramite sensori e di tradurre in movimento i pensieri del suo possessore. stata progettata da un team di ricer­catori svedesi dell’Università di Lund e italiani della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ed è stata impiantata al ragazzo da un’équipe di chirur­ghi dell’Università Campus Bio­medico di Roma. Non è il primo caso: la stessa «ma­no robotica» era stata impianta­ta ad un giovane svedese il cui arto era stato amputato per un grave tumore al polso.

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ARTICOLO ORIGINALE:

Prima mano bionica, dialoga con la mente -

La cybermano funziona: impiantata un anno fa a un ragazzo italo-brasiliano di 26 anni, vittima di un inci­dente stradale che ha costretto i chirurgi a un’amputazione fi­no a metà avambraccio, gli per­mette oggi di avvertire le sen­sazioni di presa, spinta e tatto. Di riconoscere cioè un ogget­to, di afferrarlo e tenerlo saldo fra le cinque dita di alluminio (indipendenti, proprio come una mano normale) e il palmo, in fibre di carbonio. Non a caso la sua mano (che pesa due chili) si chiama Smart Hand, mano intelligen­te, perché la protesi è capace di dialogare con il cervello at­traverso dei sensori e di tradur­re in movimento quello che il paziente sta pensando.

 la mano artificiale, che ha messo a punto un team di ricer­catori svedesi dell’Università di Lund e italiani della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e che è stata impiantata al pa­ziente da un’équipe di chirur­ghi dell’Università Campus Bio­medico di Roma. Finora la robotica ha inven­tato arti elettronici che, per quanto sofisticati, sono poco più che pinze mosse dalla con­trazione dei muscoli del brac­cio. Oggi, invece, grazie a un si­stema di sensori, la mano bio­nica dialoga con il cervello, con l’aiuto di quattro elettrodi impiantati nei nervi del polso e dell’avambraccio del pazien­te: questi elettrodi permettono non soltanto di controllare i movimenti, ma anche di riceve­re stimoli sensoriali. Cioè: il pa­ziente riesce a muovere la ma­no per prendere un oggetto e, quando l’oggetto è nella mano del paziente, quest’ultimo ha la sensazione di trattenerlo con le dita.

La mano bionica è stata rea­lizzata nell’ambito del proget­to LifeHand, finanziato con fondi europei per circa due mi­lioni di euro in cinque anni. L’intervento sul paziente ita­lo- brasiliano, che risale al 20 novembre del 2008, è stato ef­fettuato sul suo braccio sini­stro ed è stato condotto da tre chirurghi, due anestesisti, tre neurologi e quattro bioinge­gneri. Non ci sono state com­plicazioni e il paziente è stato dimesso a due giorni dell’inter­vento. Ora i risultati, a distanza di un anno, saranno presentati in una conferenza stampa e sono in via di pubblicazione su una rivista scientifica internaziona­le.

Il paziente operato a Roma non è il primo ad avere ricevu­to questa protesi: la stessa «ma­no robotica» è stata impianta­ta su un giovane svedese il cui arto era stato amputato per un grave tumore al polso. Ecco il commento di Christian Cipria­ni, ingegnere dell’Arts Lab di Pisa, guidato da Maria Chiara Carrozza: «Abbiamo sviluppa­to una mano robotica capace di afferrare gli oggetti e allo stesso tempo dotata di un elevato numero di sensori, che rilevano la posizione delle dita (detta propriocezio­ne) e misurano le in­terazioni con il mon­do esterno. Quello che è cambiato ri­spetto alle mani ro­botiche inventate finora, è l’interfac­cia sensoriale. Ab­biamo, cioè, ap­plicato al monco­ne , dei sensori che, quando per esempio la ma­no artificiale tocca una bottiglia, inviano co­sì al cervello la sensazione del tatto». Sono stati necessari sei anni per arrivare dalla proget­tazione della mano e i ricerca­tori ammettono che ci sono an­cora molti problemi da risolve­re, ma la strada è aperta. Tanto che si prevede di ripetere l’esperimento con altri pazien­ti per confermare l’efficacia del sistema.