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 2009  dicembre 02 Mercoledì calendario

Abu Dhabi prepara l’Opa Ora punta ai tesori di Dubai- MILANO – «Rivincita», o perfino «vendetta»: parole sem­pre più frequenti tra gli insider del Golfo

Abu Dhabi prepara l’Opa Ora punta ai tesori di Dubai- MILANO – «Rivincita», o perfino «vendetta»: parole sem­pre più frequenti tra gli insider del Golfo. Usate per spiegare – accanto a motivazioni finanzia­rie ed economiche – il sostan­ziale silenzio di Abu Dhabi dopo il crollo del vicino Dubai. L’inter­vento del più ricco e grande emi­rato della federazione nata nel 1971, a cui spetta la guida politi­ca dell’unione a sette, è atteso da giorni. Ma a fronte della voragi­ne palese nei conti dell’ex città meraviglia – ieri Moody’s ne ha quantificato il debito complessi­vo in 100 miliardi di dollari – Sheikh Khalifa al Nahyan sta prendendo tempo. L’emiro di Abu Dhabi, nonché presidente dell’Unione e cugino del sovra­no di Dubai, ieri ha finalmente parlato. «La nostra (nel senso di federazione) economia è sana. Voglio rassicurare il mondo: continueremo a mettere in atto le strategie previste mobilitan­do tutte le nostre capacità nazio­nali ». Nessun dettaglio o impe­gno concreto, se non quello di fornire liquidità alle banche del­l’Unione se fosse necessario. E intanto le borse dei due emirati perdevano ancora pesantemen­te (-5,6% Dubai, -3,5% Abu Dha­bi), mentre quelle mondiali mo­stravano decisi rialzi (+2,8% Mi­lano). La rivalità tra i due staterelli non è nuova. L’attuale dinastia di Dubai, i Maktoum, fino al 1833 era suddita di Abu Dhabi: fuoriscita dopo una disputa fon­dò il suo principato. Nel 1947 i due vicini si fecero guerra per i confini, questione risolta 30 an­ni dopo. E ancora: solo nel 1979 Dubai portò le sue forze armate nell’Unione. Ma la pace non ha impedito che le relazioni restas­sero tese. Non solo per gli «stili» diversi (tradizionale e cauto Abu Dhabi, moderno e audace Du­bai) ma anche per l’azzardo fi­nanziaria del secondo a cui sem­brava comunque andar tutto be­ne. E per motivi politici: l’apertu­ra di Dubai all’Iran sciita, part­ner d’affari storico, non è mai an­data giù ai governi sunniti del Golfo. All’Arabia Saudita dei wahhabiti ma nemmeno al tolle­rante Abu Dhabi. « chiaro che c’è una lotta po­litica in corso, per Abu Dhabi questa è un’ottima occasione per centralizzare il potere come vuole da tempo», sostiene Chri­stopher Davidson, autore di libri sulla regione. Potere politico, ma anche economico finanzia­rio, finora ampiamente decentra­lizzato nell’Unione. Per gli anali­sti, se alla fine Abu Dhabi inter­verrà per aiutare Dubai non sarà con sostanziali prestiti come fe­ce mesi fa tramite la banca cen­trale. Nè tantomeno sostenendo direttamente la holding Dubai World su cui pesano 59 miliardi di dollari di debiti. L’aiuto, sono tutti convinti, avrà soprattutto la forma di acquisizioni di «pez­zi » dell’emirato rivale. «Valutere­mo caso per caso», ha infatti di­chiarato il governo di Sheikh Khalifa. E di casi interessanti ce ne sono. Se Dubai World di strategico controlla solo il 77% di DP Wor­ld, ovvero i porti, è nella holding pubblica Investment Corpora­tion Dubai (ICD) che ci sono i «gioielli della corona». Le linee aeree Emirates, in primis, orgo­glio dei Maktoum (Ceo è un zio dell’emiro) per la crescita record e i profitti nonostante la crisi, maggior acquirente mondiale di aerei a lungo raggio, proprieta­ria di un hub cruciale tra Asia, Africa e Europa. All’ICD fa poi ca­po Borse Dubai, a sua volta mag­gior azionista del London Stock Exchange Group, ovvero delle borse di Londra e Milano. E poi banche, utilities, industrie. «Ce­dere al rivale queste proprietà sa­rebbe un colpo terribile per Du­bai – dice un consulente stra­niero di Sheikh Khalifa ”, una rivincita fantastica per Abu Dha­bi ». Che intanto ha ricevuto da Moody’s una conferma della sta­bilità del suo rating (AA2). Gra­zie al suo ruolo di terzo esporta­tore mondiale di greggio e (alme­no secondo i fan dell’emirato) al­la sua prudenza all’antica.