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 2009  dicembre 02 Mercoledì calendario

SHOPPING


A Berlino, «capitale dell’ateismo» secondo la definizione del cardinale Walter Kasper, dall’anno prossimo si santificheranno le feste: di conseguenza, la domenica sarà vietato fare shopping, e i negozi rimarranno chiusi. Lo ha stabilito una sentenza della Corte costituzionale tedesca con la seguente motivazione: «Un semplice inte­resse economico dei mercanti e l’interesse quotidiano allo shopping dei consumatori non sono abbastanza fondamentali per giustificare le eccezioni di apertura dei negozi». Felici le chiese e i sindacati, furioso il sindaco, Klaus Wowereit, che dice: « un ve­ro passo indietro. Non abbiamo obbligato nessuno ad aprire e non abbia­mo costretto nessuno a fare shopping. Vogliamo riconosce­re la realtà della vita che cam­bia o vogliamo ignorarla?».

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ARTICOLO ORIGINALE:

Germania, domenica «sacra». Giudici contro i negozi aperti -

La «capitale dell’ateismo» (definizione che di Berlino ha dato il cardinale Walter Kasper al Corriere del 27 aprile scorso) dall’anno prossimo santificherà le feste. Lo impone una sentenza della Corte costituzionale tedesca re­sa pubblica ieri: dal 2010, la do­menica i negozi dovranno re­stare chiusi. Nel giorno del ri­poso, Berlino somiglierà dun­que, in via definitiva, a quella che era la parte Est della città prima della caduta del Muro: zero shopping. E ciò è un’indi­cazione che vale per tutta la Germania. Il consumismo do­menicale è fuorilegge.

La Corte doveva esprimere il suo giudizio su un ricorso pre­sentato dalle Chiese cattolica ed evangelica contro una legge approvata dal Senato di Berli­no (la giunta cittadina) nel 2006. Si tratta di una regola­mentazione sulle aperture dei negozi in realtà già piuttosto re­strittiva: stabilisce che gli eser­cizi commerciali possono, se vogliono, rimanere aperti dieci domeniche l’anno, comprese le quattro dell’Avvento che prece­dono il Natale. I giudici costitu­zionali hanno però detto che la norma viola la Legge fonda­mentale tedesca, la quale nel 1949 recepì un articolo della Costituzione di Weimar del 1919 che definisce le domenica e le feste «giorni di riposo dal lavoro e di miglioramento spiri­tuale ». Il presidente della Cor­te, Hans-Jürgen Papier ha spie­gato meglio: «Un semplice inte­resse economico dei mercanti e l’interesse quotidiano allo shopping dei consumatori non sono abbastanza fondamentali per giustificare le eccezioni di apertura dei negozi».

Ieri, le chiese che avevano fat­to ricorso si sono dette felici. E con loro i sindacati. Il sindaco di Berlino, Klaus Wowereit, era invece irritatissimo. «E’ un ve­ro passo indietro – ha sostenu­to ”. Non abbiamo obbligato nessuno ad aprire e non abbia­mo costretto nessuno a fare shopping. Vogliamo riconosce­re la realtà della vita che cam­bia o vogliamo ignorarla?».

La decisione della Corte sol­leva infatti molti problemi. In­nanzitutto, Berlino è una delle ultime grandi capitali occiden­tali ad avere regolamenti re­strittivi in fatto di apertura do­menicale: qualcosa che scorag­gia non solo i moltissimi turi­sti che trascorrono il weekend in città ma che rende la metro­poli meno friendly di altre, uno svantaggio nella gara ad attrar­re persone, investimenti e ta­lenti attraverso un ambiente aperto ed efficiente. In secon­do luogo, Berlino è una delle ca­pitali multiculturali e multireli­giose d’Europa: la chiusura do­menicale dei negozi sembra più che altrove un’imposizione su chi non frequenta le chiese cristiane. Terzo, il divieto è la negazione stessa del senso del­la città, per origine e storia luo­go dello scambio. Infine, il mondo non è più quello del 1919 e nemmeno quello del 1949: il diritto al riposo dei la­voratori è ormai acquisito an­che se si apre bottega la dome­nica.

Fatto sta che, oltre a chiese e sindacati, sono soddisfatti i ge­stori di ristoranti, bar, pub, tea­tri, cinema, palazzetti dello sport, piscine: vedranno au­mentare la loro clientela festi­va che non necessariamente sceglierà la messa come alter­nativa allo shopping. Al mo­mento, per loro il divieto non vale, anche se logica vorrebbe che, se si applica al commer­cio, fosse esteso a tutte le cate­gorie dell’entertainment. Si po­trebbero chiamare «domeni­che della Ddr».