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 2009  dicembre 01 Martedì calendario

Il barbiere e il reclutatore, i volti «italiani» della jihad- MILANO – A Guantánamo è arrivato il 9 febbraio 2002 e gli hanno assegnato il numero di internamento 148

Il barbiere e il reclutatore, i volti «italiani» della jihad- MILANO – A Guantánamo è arrivato il 9 febbraio 2002 e gli hanno assegnato il numero di internamento 148. A Milano però lo conoscevano come «il barbiere». quella l’occupazione che gli avevano tro­vato nella moschea di viale Jenner. Fino al 2001: quell’anno Adel Ben Mabrouk, tuni­sino, è partito per l’Afghanistan e lì, poco dopo, è stato catturato dalle forze america­ne. Nasri Riad era invece militante di una fazione estremista che venne espulsa dal­la moschea di via Quaranta, sempre a Mi­lano. Aveva vissuto a Bologna. Poi, nel 1997, s’era unito alla jihad in Afghani­stan. Là, al contrario di Mabrouk, aveva assunto un ruolo di rilievo. Come ha scrit­to il giudice Guido Salvini nell’ordinanza d’arresto nel 2007, Nasri era diventato il «capo dei tunisini a Jalalabad, da dove manteneva stretti e costanti rapporti con la struttura in Italia e a Milano». Nasri or­ganizzava e finanziava «il rientro dei mujahedin in occidente e in particolare a Milano». Ecco chi sono i due tunisini arrivati ieri da Guantánamo. Personaggi con spessore criminale diverso, ma la loro storia «italia­na » racconta nei dettagli cosa è stata la re­te terroristica nel nostro Paese prima del­l’ 11 settembre. Erano anni in cui l’allarme Al Qaeda non esisteva per l’opinione pub­blica, ma nelle strade di Milano, Bologna, Torino, gli estremisti si muovevano sotto traccia. E infatti i loro nomi, negli archivi di polizia dell’epoca, erano associati ai ti­pici reati di strada. Nasri, detto Abou Doujana, «viveva a Bologna ed è stato con­dannato per spaccio di banconote false commesso nel 1997». Su Mabrouk, che a Milano ha vissuto prima in corso Lodi e poi in via Padova, pendono accuse di falsi­ficazione e ricettazione di documenti, im­migrazione clandestina, spaccio di droga, soprattutto smercio di hashish. Sono i ti­pici reati «di base», parte integrante nelle attività di reclutamento, finanziamento e appoggio logistico per le cellule della jihad. Il gruppo di cui faceva parte Ma­brouk, secondo le indagini milanesi, sta­va pianificando un attentato al Duomo di Cremona e uno alla metropolitana e al Duomo del capoluogo lombardo. Arrivato in Italia, via Palermo nel 1988, Nasri si era stabilito invece a Bologna (do­ve ha abitato in via Toscana prima, in piaz­za dell’Unità poi). Ha raccontato di aver «fatto il fruttivendolo». Per l’Afghanistan era partito nel 1997. Un contributo fonda­mentale per ricostruire la sua storia è arri­vato dal pentito tunisino Tlili Lazar. sta­to lui a raccontare che Nasri era il capo della «Casa dei tunisini» a Jalalabad. No­mi e storie che si incrociano, a volte ri­schiano di confondersi. Di Nasri Riad, al­l’epoca dei mandati di cattura del 2007, si pensava che fosse uno dei kamikaze che avevano fatto strage nelle strade di Algeri (24 morti) l’11 aprile di quello stesso an­no. Il Nasri «bolognese» era invece a Guantánamo.