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 2009  dicembre 01 Martedì calendario

Sette anni nelle celle di Camp Delta ora li aspetta un processo solo italiano- Secondo il governo "non ci saranno altri arrivi" La Procura dovrà valutare se dopo la lunga reclusione sono ancora "pericolosi" Erano stati indagati prima dell´11 settembre, appartenevano ai gruppi salafiti ROMA - Da ieri notte, anche l´Italia ha i suoi ex detenuti di Guantanamo

Sette anni nelle celle di Camp Delta ora li aspetta un processo solo italiano- Secondo il governo "non ci saranno altri arrivi" La Procura dovrà valutare se dopo la lunga reclusione sono ancora "pericolosi" Erano stati indagati prima dell´11 settembre, appartenevano ai gruppi salafiti ROMA - Da ieri notte, anche l´Italia ha i suoi ex detenuti di Guantanamo. I cittadini tunisini Mohammed Ben Riad Nasri e Adel Ben Mabrouk. I primi due, se si dovesse stare alle parole del giugno scorso del ministro degli Esteri Franco Frattini, quando la trattativa tra Roma e Washington conobbe la sua definitiva stretta («Non so se saranno tre o un numero diverso»). O, forse e più probabilmente, i primi e gli ultimi due, se si sta agli umori della Lega, del suo ministro dell´Interno (che non ha mai fatto mistero in questi mesi della contrarietà a questo tipo di "accoglienza") e alle comunicazioni che il Governo ha girato in queste ore al Dipartimento della Polizia di prevenzione («Non ci saranno nuovi arrivi»). Nasri e Mabrouk infilano i polsi nelle manette italiane con un carico di galera già scontata a Guantanamo superiore ai sette anni e una storia "italiana" (di cui avevano dato conto ai nostri investigatori in trasferta ammessi in questi anni alle loro gabbie in almeno due occasioni) che si perde nel tempo. Precedente all´11 settembre, quando le loro vite incrociano tra Bologna (Mabrouk) e Milano (Nasri) e i loro nomi finiscono prima nei brogliacci dell´Antiterrorismo e quindi nei fascicoli della Procura di Milano come appartenenti al Gruppo Salafita per la predicazione e il combattimento, impegnati nell´opera di «proselitismo e reclutamento» per la jihad che prima si combatte nei Balcani (anni ´90) e quindi in Medioriente. Ma Nasri e Mabrouk arrivano soprattutto con un accordo tra le due diplomazie – americana e italiana – che lascia le mani libere alle giurisdizioni di entrambi i Paesi grazie a una "finzione" giuridica che cancella con un tratto di penna il passato dei due prigionieri. Formalmente, infatti, Mabrouk e Nasri hanno lasciato Washington alla volta di Milano come due semplici "indesiderati". In altri termini, con in tasca un semplice foglio di espulsione identico a quello con cui un qualunque studente o "illegal immigrant" in cerca di lavoro o di fortuna può essere espulso dagli Stati Uniti se pescato con un visto ormai scaduto. E, una volta Milano, sono stati ammanettati alla base della scaletta dell´aereo da cui sono scesi, come due latitanti poco accorti improvvisamente riapparsi sul nostro territorio e inseguiti da ordinanze di custodia cautelare firmate dalla magistratura di Milano, sulla base di indizi di colpevolezza raccolti esclusivamente nel nostro Paese e per reati commessi in Italia. Il marchingegno che ha governato il "come" siano arrivati i due reduci da Guantanamo, e che pure potrebbe apparire questione di lana caprina, è a ben vedere questione cruciale. Che racconta qualcosa di quanto è accaduto sino ad oggi e di quel che potrà accadere da domani. L´accordo è infatti figlio di una mediazione estenuante condotta tra i due governi di Roma e Washington che ha dovuto tenere conto di due richieste. Quella americana: di non avere più a che fare con i prigionieri una volta rilasciati da Guantanamo (il problema di come e in che tempi "liberarsi" degli spettri di Guantanamo resta un´urgenza insoluta nell´agenda della Casa Bianca). Quella italiana: di poter accogliere soltanto prigionieri "ricercati" dal nostro Paese. Dunque, da poter immediatamente avviare in un nuovo carcere, senza margini formali di libertà, e non perseguibili in forza di materiale indiziario accumulato o costruito a Guantanamo sul loro conto con il ricorso a «tecniche di interrogatorio non ortodosse».  dunque in forza di questo accordo che la richiesta di estradizione della magistratura milanese che pendeva nei confronti di almeno uno dei due cittadini tunisini (Nasri) e che avrebbe comportato una procedura di ben altro tipo e garanzia non solo non è mai stata accolta dal Dipartimento della Giustizia, ma, a quanto pare, non è mai stata neppure inoltrata dal nostro ministero di Giustizia. Ma è ancora in forza di questo accordo che, da domani, il destino "processuale" di Nasri e Mabrouk potrebbe anche prendere traiettorie "impreviste". Se infatti, almeno formalmente, la loro "custodia cautelare" ha avuto inizio ieri, nessun giudice potrà non considerare che entrambi i cittadini tunisini hanno già scontato sette anni di reclusione. Così come, necessariamente, nel valutare la loro "pericolosità sociale", Procura di Milano e ufficio del Gip dovranno valutare se aver trascorso un così lungo periodo in una gabbia all´altro capo del mondo faccia di questi due uomini persone ancora "pericolose" e, soprattutto, inserite in una «associazione a delinquere con finalità di terrorismo internazionale». Conoscendo lo scrupolo e l´attenzione del procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro sulle questioni di principio e di sostanza nei procedimenti per "terrorismo internazionale" e sui profili che hanno riguardato i rapporti tra Italia e Usa nella "guerra al Terrore", scommettere su qualche "sorpresa" potrebbe non essere azzardato. Come anche in un ritorno di fiamma polemico.