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 2009  dicembre 01 Martedì calendario

«Ha ucciso anche la mamma ma non riesco a odiarlo»- Il delitto delle mani mozzate, parla la figlia del sospettato CARAVATE (Varese) – Che bello, il fuoco

«Ha ucciso anche la mamma ma non riesco a odiarlo»- Il delitto delle mani mozzate, parla la figlia del sospettato CARAVATE (Varese) – Che bello, il fuoco. Pippo si scaldava le mani sul camino del salone, gode­va del tepore delle fiamme e intan­to raccontava. Nei minimi detta­gli. Tua madre, diceva, batteva contro i vetri della macchina, e in­tanto le bruciavano i capelli e le venivano le bolle in faccia, si scioglieva come una candela. Nunzia ascoltava papà per l’ennesima volta. L’inverosimi­le storia di Marisa che muore all’interno della Volvo Polar di famiglia perché si accende una sigaretta. In un’auto do­ve, sbadatamente, all’interno si è rovesciato un bidone di benzina da dieci litri. «Cosa gli costava dire che se n’è andata senza soffrire? Vole­va farci ancora più male, per staccarsi da noi. Mi so­no convinta in modo defi­nitivo che era stato papà a uccidere la mamma». Quel giorno, Giuseppe Piccolomo, detto «Pippo», ha ottenuto quel che voleva. Non è più entrato nella casa dove aveva vissuto con Marisa e i lo­ro tre figli. Il ripudio doveva essere un lasciapassare per la vita nuova, con una donna molto più giovane di lui. Cancellare una famiglia, per far­ne un’altra. Nunzia è assorta, guarda nel vuoto davanti allo stesso camino dove è stata costretta a rivivere l’ago­nia della madre, per bocca di un pa­dre ora famoso perché sospettato di un omicidio bestiale. Un altro, forse. Attorno a lei si muovono i suoi due ragazzi, 14 e 7 anni. La sentono elen­care dettagli atroci, maledire il suo sangue. Marisa e Pippo si conobbero alle scuole elementari di Corato, sulle pri­me pendici delle Murge, in provincia di Bari. Al primo bacio lei aveva 9 an­ni, lui 11. Nel 1971 salirono al Nord. Aprirono «La pantera rosa», ristoran­te- pizzeria a Cocquio, il nome era un omaggio ai cartoni animati che piace­vano tanto a Nunzia. Sarebbero poi arrivati Cinzia e Diego. Lei è nata che Marisa aveva solo 16 anni. Ne ha ere­ditato gli occhi verdi, ma anche il ca­rattere, i sogni. «C’è una differenza. Mamma amava la vita, sorrideva al mondo. Io non mi fido di nessuno. Ho preso tutto da lui, l’unica cosa che mi ha lasciato». Lui. Fatica a chiamar­lo «mio padre». Lui era il papà Dio in­torno al quale tutto doveva girare. «Non ci ha mai fatto mancare niente. Ma non c’era un filo logico nelle no­stre vite. La prima volta che portai un ragazzo in casa, era un compagno di scuola, cacciò lui e mise me in puni­zione, menandomi ogni giorno. Per tre mesi». A 12 anni, Nunzia viene bocciata in prima media, e si dirige verso i binari della ferrovia. Lui ha detto che se non fosse stata promos­sa, quella era la fine che meritava. Giunta sulla massicciata, cambia idea. Torna a casa. Si inginocchia da­vanti al padre. Lui esce. Torna con un regalo, un paio di orecchini d’oro. Seduta al tavolo della cucina, Nun­zia non riesce a nascondere un sorri­so. Le sedie, le ante e la credenza so­no di ciliegio massiccio, il regalo di mamma e papà per il suo matrimo­nio. Quando ha smesso di essere fi­glia ed è diventata a sua volta moglie, Pippo era diventato affettuoso. Il con­tachilometri era stato azzerato. Le an­gherie, le vessazioni, forse cose anco­ra più brutte, e poi ancora le botte con i vigili a Ferragosto, quando era­no an­dati tutti insieme a Laveno per vedere i fuochi d’artificio. Non importava più nulla. «Andavamo in giro insieme, con la mia prima bim­ba in carrozzina. Se vedeva qualcosa che le poteva piacere, lo comprava». Lui era tornato ad essere papà. Con­tava solo questo. «Ma poi è subito arrivata la marocchina». Nunzia storce la bocca in una smorfia di disgusto. Il Male assoluto aveva le sembianze di una ragazza che bussa alla porta del nuovo ristorante, chiedendo di esse­re messa alla prova come donna del­le pulizie. Il ristorante era nuovo, si chiamava «Al parco da Marisa», po­chi metri dalla villetta di Caravate. Diventano inseparabili, moglie, ma­rito e la ragazza. «Mia madre si fida­va di tutti, diceva che Zineb aveva bisogno di aiuto». Non si accorge, o forse non vuole vedere, che Pip­po dà di matto ogni volta che un cliente ferma lo sguardo sulla nuova cameriera. Non capisce che accoglierla in casa aumenta la promiscuità. La notte che lei muo­re, in quel modo assurdo e sospet­to, i figli la cercano. Telefonano a ca­sa, suonano. Lei aprirà ore dopo. «Disse che non aveva sentito. Era terrorizzata. Sapeva quel che mio pa­dre stava per fare». Pippo si presenta al funerale con un giubbotto di un rosso sgargiante, si sposa subito dopo. Torna ad esse­re Lui, per scelta consapevole. Tortu­ra le figlie con i dettagli della morte di Marisa, nega loro le foto di quan­do erano una famiglia. Ancora oggi, Nunzia non ha uno scatto di papà e mamma, insieme. Negli ultimi sei anni si sono visti poco e di rado, al centro commerciale dove lui passa­va le giornate fumando e attaccando rissa con i passanti. Ai magistrati, Nunzia e Cinzia hanno raccontato anche delle molestie subite da bam­bine. «Ma questo non centra nulla». Lo sguardo di Nunzia si fa obliquo, carico di sospetto. L’ultima volta che ha visto suo padre, lui le ha det­to che «il fuoco distrugge ogni pro­va ». Disgusto, disprezzo, e poi man­cano i sostantivi per esprimere quel che sente nei suoi confronti. «Ma non lo odio, non ci riesco». Per la pri­ma e unica volta di questo lungo po­meriggio, la voce di Nunzia si spez­za, diventa quella di una figlia abban­donata alla quale manca il papà, per quanto indegno. «Se ammettesse quel che ha fatto, lo perdonerei. So che ha bisogno di me. mio padre».