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 2009  dicembre 01 Martedì calendario

SENZA -  possibile ottenere plastica senza usare petrolio modificando geneticamente i microrganismi digestivi del batterio Escherichia Coli, da cui si può ottenere acido polilattico

SENZA -  possibile ottenere plastica senza usare petrolio modificando geneticamente i microrganismi digestivi del batterio Escherichia Coli, da cui si può ottenere acido polilattico. La bioplastica è stata sviluppata dal ricercatore sudcoreano Sang Yup Lee. Oltre all’acido polilattico, gli Escherichia Coli potrebbero sintetizzare altri tipi di plastiche, variando patrimonio genetico e dieta. _____________________________________ Articolo originale: La plastica petrolio-free - 

Una plastica prodotta senza l’uso del petrolio? Si ricava dalla digestione dei batteri. Modificando geneticamente i microrganismi dell’ Escherichia Coli, è possibile ottenere l’acido polilattico. Avete presente le vaschette trasparenti per frutta e verdura? Ecco un’applicazione dell’acido polilattico tra gli scaffali del supermercato. Il lavoro «di produzione» lo fa lo stomaco dei batteri – il materiale viene sintetizzato all’interno delle cellule – di conseguenza la colonia deve morire per poter estrarre il biocomposito. A sviluppare la bioplastica è stato il sudcoreano Sang Yup Lee dell’università di Kaist. Il ricercatore da tempo studia come creare polimeri (plastiche) «oil free» da coltivazioni batteriche. «Per la prima volta i batteri sintetizzano le unità di acido lattico che finora non riuscivano a fabbricare – spiega Mariastella Scandola, docente di chimica macromolecolare all’università di Bologna – grazie alle mutazioni del Dna». Questi batteri sono in grado di generare l’intero polimero, già pronto per essere trasformato in vaschette, senza l’intervento di reazioni chimiche esterne eseguite dall’uomo. Molte bioplastiche hanno bisogno di trattamenti aggiuntivi: i batteri generano soltanto i «tasselli» di base (monomeri) della plastica, che poi bisogna collegare e montare in laboratorio per formare i polimeri. Alla fine il biomateriale si ottiene in due stadi: uno metabolico (ecologico) e uno sintetico (non ecologico). L ”Escherichia Coli del sudcoreano va oltre: sforna direttamente il prodotto finale. «Il problema è la resa: al momento è bassa» sottolinea Scandola. Oltre all’acido polilattico gli Escherichia Coli potrebbero sintetizzare altri tipi di plastiche, variando patrimonio genetico e dieta. L’esperta li chiama «bioreattori» in quanto sono capaci di eseguire il lavoro richiesto quando gli cambi i connotati e il menù.

«Se ai batteri do una minestra con pezzettini di A e di B è facile che il polimero prodotto sia AB – aggiunge l’esperta – e se intervengo geneticamente posso controllare come sono attaccati A e B. Il vantaggio di questi polimeri è che possono essere riciclati come terriccio fertilizzante, insieme a scarti di cucina e materiale vegetale». Il lato negativo della bioplastica è la bassa qualità. «Spesso non ha le caratteristiche meccaniche e di resistenza del Pet, il materiale delle bottiglie d’acqua – precisa Roberto Frassine, professore di polimeri e compositi al Politecnico di Milano ”. In ogni caso, la quota di petrolio impiegata per la produzione di plastica è poco rilevante, circa il 4%». Come risolvere la questione della bassa qualità? «Producendo polimeri misti che hanno una certa percentuale di carbonio biologico – commenta Scandola – per esempio le schiume per le imbottiture dei sedili delle auto hanno un componente derivato da fermentazione batterica. Avere una percentuale di biocomposto significa poter degradare facilmente il materiale quando non è più servibile». Insomma, aiutiamo l’ambiente e risparmiamo sul greggio. Batteri battono petrolio: uno a zero.