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 2009  novembre 30 Lunedì calendario

Gli schiavi del terzo millennio dietro la Disneyland del Golfo- Dietro lo schermo c’è un altro spettacolo», filosofeggia Rashid mentre spinge l’auto via dalla Dubai vacanziera verso la zona industriale

Gli schiavi del terzo millennio dietro la Disneyland del Golfo- Dietro lo schermo c’è un altro spettacolo», filosofeggia Rashid mentre spinge l’auto via dalla Dubai vacanziera verso la zona industriale. Dietro lo schermo dei grattacieli e delle spiagge c’è la città - anzi le città - delle decine di migliaia di braccia che da tutta l’Asia vengono qui per spingere a forza di muscoli e sudore il miracolo dell’Emirato. Li chiamano «labourer» e sono manovali, elettricisti, idraulici, imbianchini, autisti, portieri, guardiani. Primi fra tutti gli indiani, seguono i pakistani, gente del Bangladesh, anche nepalesi e cinesi. Oltre un milione su una popolazione di un milione e seicentomila. «Ecco, questo è il posto dove sto». Dopo dieci anni nella sua Dubai il pakistano Rashid si guarda bene dal chiamare casa il «Labourer Camp» di Jebel Ali, che pure dice essere uno dei migliori, con i suoi trenta o quarantamila occupanti alloggiati accanto agli svincoli della superstrada, tra un’area industriale e una grande discarica. «Niente a che vedere con Al Quasis, vicino all’aeroporto, dove c’è sempre una puzza tale che non si possono aprire nemmeno i finestrini». Qui decine e decine di palazzine a tre o quattro piani con i panni stesi fuori ad asciugare. Attorno e fra le case una landa sterrata dove l’acqua salmastra affiora anche oggi - «e quando piove diventa un vero macello». Camion e autobus parcheggiati ovunque, con una significativa presenza di autobotti per gli spurghi: «Con le piogge arrivano anche acque nere dappertutto...». Per i vicoli di terra pochi uomini: «Quelli che lavorano nei cantieri vanno via verso le quattro di mattina, due ore di viaggio all’andata, dodici di turno di lavoro e altre due per tornare». Uomini e basta. «Portare la famiglia? Non scherziamo. Con quello che si guadagna è già dura vivere da soli e mandare qualche soldo a casa». I salari dei «labourer» meno qualificati, per l’appunto, vanno dai 500 ai mille dirham il mese, come a dire da 100 a 200 euro, «ma io sono fortunato. Come autista prendo 2000 dirham». Casa e trasporto al lavoro sono dati dall’azienda, qualche volta anche il cibo. La crisi economica arrivata a inizio anno, poi che si sperava superata e che adesso invece incombe di nuovo, rende ancora peggiore una vita durissima. C’è l’assicurazione medica, certo, e dal 2007 il governo si è mosso per migliorare le condizioni di questo esercito di immigrati, ma Rashid si lamenta anche dell’isolamento: «Possiamo vivere solo qui, stretti tra di noi». In mezzo al campo la moschea. Poco distante il ristorante «Labourer Power» è passato a miglior vita da un pezzo, la crisi non colpisce solo Wall Street. Ci sarebbe il Mini Mall con annesso Mini Grand, l’altro ristorante del campo: «Per mangiare in economia si spendono 10 o 15 dirham, ma delle volte la roba non è buona». Difficile però trovare alternative: «Dove altro andiamo? Siamo isolati qui, certo non possiamo andare a fare shopping in città». E il tempo è poco anche se di venerdì chi può riposa «e chi ha bisogno di guadagnare accetta invece di fare gli straordinari e così lavora sette giorni su sette». Spuntano decine di parabole, c’è chi ha il condizionatore, chi invece ha solo un buco quadrato nella stanza: «Molte aziende vogliono che il condizionatore ce lo compriamo da soli. E qui d’estate, senza non si vive». Le stanze: «La mia era per quattro, ma adesso ci hanno messo in sei, con i letti a castello. Se quello di sopra si muove io mi sveglio. E viceversa». Una certa propensione a considerare impilabili gli immigrati causa talvolta incresciosi incidenti. Sui giornali si ricorda la tragedia di un anno fa: in una delle «ville» monofamiliari diventate rifugio di operai è scoppiato un incendio e undici «labourer» sono morti, altre decine feriti. stata rasa al suolo ma in quella accanto pare che dormano ancora ogni notte circa 400 persone. Da allora Dubai ha lanciato una campagna contro le irregolarità negli alloggi degli immigrati: 14 mila infrazioni trovate in meno di un anno. Qualche volta i "labourer" scendono anche in piazza: a gennaio manifestazione contro la ditta di costruzioni Al Habtoor. Trecento persone «rapidamente disperse» secondo la polizia, duemila per i giornali. Motivo della protesta: pochi straordinari a causa della crisi dell’edilizia, non si guadagna abbastanza da vivere. Segue dibattito su Internet con posizioni contrastanti: sì, devono guadagnare di più; no, anche se qui prendono 500 dirham stanno meglio che a casa loro, dove morirebbero di fame. Già, perché non tornare in Pakistan, Rashid? «Intanto perché ho pagato il visto per lavorare qui. E poi sono troppo vecchio per trovare un lavoro là. Ma un giorno tornerò, voglio aprire un negozio con mio fratello che è anche lui qui».