Paolo Migliavacca, Il Sole-24 Ore 30/11/2009;, 30 novembre 2009
IL BOTTINO DEI NUOVI CORSARI VALE 16 MILIARDI DI DOLLARI
una pratica antica quanto il mare e la navigazione. Che ha mietuto vittime illustri, ma anche propiziato carriere leggendarie. Ne fu colpito Giulio Cesare, come narrano Svetonio e Plutarco, rapito nel 75 a. C. e tenuto in ostaggio fino al pagamento di un cospicuo riscatto, mentre Francis Drake da corsaro si trasformò nel più celebre ammiraglio inglese dell’era elisabettiana. Ma, dopo i fasti del XVII e XVIII secolo, pareva fosse ormai sepolta nei libri di storia. Almeno fino al decennio scorso.
Nel nuovo secolo la pirateriaè invece tornata una piaga mondialetanto pericolosa quanto difficile e costosa da affrontare. Anche perché è sempre più redditizia. Intere aree dell’oceano Indiano, del Golfo di Guinea e del mar dei Caraibi di fatto sono precluse alla libera navigazione, con centinaia di assalti l’anno.
L’esito può essere diverso, dal sequestro della nave, restituita all’armatore dopo il pagamento di riscatti onerosi, al riutilizzo (previo camuffamento) dell’unità, fino alla mera rapina dell’equipaggio e alla spoliazione delle parti più pregiate del carico e delle dotazioni di bordo (radio, radar, scialuppe di salvataggio). Ma in comune c’è il rapido arricchimento dei pirati: si calcola che quest’anno i corsari somali incasserano almeno 150 milioni di dollari, contro i 30 del 2008.
Questo dato lascia intuire le grandi cifre che ruotano intorno al fenomeno. Secondo stime di due think-tank americani di diversa tendenza politica – la rivista Foreign Policy e la Heritage Foundation – il danno globale oscillerebbe tra 13 e 16 miliardi di dollari l’anno.
La cifra nasce soprattutto dai costi in continuo rialzo dei noli per le rotte che attraversano acque pericolose, dagli oneri costituiti dal passaggio dal Capo di Buona Speranza per chi sceglie un percorso più sicuro, dalla necessità di formare convogli di navi scortate da unità militari (proprio come fece la Gran Bretagna nella Seconda guerra mondiale per respingere i sommergibili tedeschi) e, soprattutto, dallo stazionamento nell’oceano Indiano di 30-40 navi da guerra assai sofisticate e costose. Senza scordarei costi elevati che comporta dotare le navi mercantili di mezzi adatti a respingere gli assalti: cannoni ad acqua, emettitori di suoni acutissimi, raggi laser accecanti, ma soprattutto squadre di security addestrate a interventi anti-abbordaggio che alcuni armatori imbarcano sulle loro navi.
Il potenziale di ulteriore crescita della pirateria è elevato, dato che almeno il 20% dei quasi 8 miliardi di tonnellate che costituiscono il traffico mondiale annuo di merci transita al largo delle coste somale, mentre un altro 30-35% attraversa altre acque a rischio come quelle del Golfo di Guinea o degli stretti di Malacca. In questi ultimi passano inoltre circa 20 milioni di barili al giorno di greggio trasportati da petroliere, poco meno dei due terzi del totale mondiale di petrolio scambiato via mare. Gli assalti a 300-500 unità l’anno, rispetto a un traffico mondiale di 50mila navi, sono quindi ancora poca cosa. Questa considerazione introduce il problema della pericolosità del carico trasportato e, quindi, della sua appetibilità per i moderni bucanieri. Nel settembre 2008 il cargo ucraino "Faina" è stato catturato con un grosso quantitativo di armi, tra cui 30 moderni carri armati T-72, ufficialmente diretti in Kenia, che si è temuto i pirati potessero mettere all’asta finendo in mani insicure. Ma sono state sequestrate anche navi colme di prodotti chimici o di petrolio e l’Occidente ha tremato al pensiero che al-Qaida, coinvolta nella guerra civile somala, potesse disporre di carichi in grado di trasformarsi in una replica marittima dell’ 11 settembre. Oltre alcune misure accennate, c’è modo d’impedire il dilagare della pirateria? A parte il progetto di alcuni esperti del Pentagono di colpire con incursioni o bombardamenti i covi a terra dei pirati, i mezzi identificati sono di fatto tre: dislocare flotte militari sempre più mirate (l’Italia domani assumerà il comando della missione "Atalanta" della Ue); dotare tutte le navi da carico di mezzi di contrasto adeguati; ma soprattutto combattere il riciclaggio del denaro proveniente dai sequestri, che finora ha trovato molti paradisi, specie nel Golfo Persico, in cui ripulirsi.