Stefano Firpo e Renato Maino, Affari&finanza 30/11/2009, 30 novembre 2009
USARE I T-BOND PER IL CAPITALE NELLE IMPRESE
La crisi finanziaria delle imprese è seria, in Italia come in Europa. Nel nostro Paese la dinamica tendenziale del Pil a 6% è spiegata per più della metà da una flessione della spesa per investimenti da parte delle imprese. Una politica economica anticiclica deve agire su questo elemento di debolezza concentrando gli interventi sul rilancio degli investimenti e dell’attività produttiva, cercando al contempo di orientarli verso i recuperi di produttività e forza competitiva. Un passo in questa direzione presuppone uno sforzo di consolidamento patrimoniale delle imprese. Il capitale di rischio è risorsa scarsa, ogni opportunità d’averne è preziosa.
Perché allora non sfruttare i fondi stanziati per i Tremonti Bond e non utilizzati dalle banche? Un modo potrebbe essere quello di dare i soldi direttamente alle imprese con prestiti assimilabili all’equity, in modo da rimettere in moto il meccanismo del credito agli investimenti e alla catena clienti/fornitori. Il moltiplicatore sul credito erogato sarà forse inferiore a quello atteso dalla patrimonializzazione delle banche, ma sarà fondamentale per il consolidamento patrimoniale dell’impresa italiana.to maino
segue dalla prima
Da estendere, in prospettiva, all’intero sistema delle PMI europee, la vera ossatura postcrisi dell’economia del vecchio continente.
Si potrebbe immaginare un meccanismo del tutto analogo a quello predisposto per i TreBond per le banche. Il Tesoro si indebita in via ordinaria e poi eroga prestiti partecipativi subordinati, finalizzati al rientro delle imprese nei parametri di leva finanziaria accettabili, con il potenziamento temporaneo delle risorse patrimoniali di primo livello senza alterare il rapporto tra proprietà, comando e controllo d’impresa.
Il prestito partecipativo subordinato, in base alla normativa italiana (legge 317/91), è uno strumento di natura creditizia tradizionale, presenta un onere commisurato alla somma inscindibile di una parte fissa (corrisposta qualunque sia il risultato economico dell’esercizio) e di una parte variabile, di partecipazione all’utile societario. inoltre "subordinato", in caso di liquidazione coatta o volontaria, alle ragioni degli altri creditori, primo solo rispetto al capitale ordinario. Il prestito infine può essere corredato da clausole (covenants) per inserire incentivi mirati al suo utilizzo e al suo rimborso. A tal proposito sono opportune clausole che disciplinino gli emolumenti agli amministratori e la destinazione degli utili, a completamento dei requisiti finanziari del prodotto. Per meglio aderire alle finalità dello strumento, il tasso fisso dovrebbe essere molto basso, legato ad esempio al livello dell’inflazione programmata, mentre la componente variabile corrisponderebbe a una quota dell’utile lordo ante imposte devoluta a titolo di interesse sul prestito, anch’essa fiscalmente deducibile come il tasso d’interesse.
Lo strumento genera un rendimento "ex post" rappresentato dal tasso interno di rendimento dei flussi effettivamente pagati dal debitore. Nel caso in esame il rendimento medio atteso "ex ante" potrebbe essere agganciato alle previsioni governative del DPEF, nel livello dell’810%. Il rendimento ex post dipenderà dall’effettivo andamento del ciclo economico. In caso di ripresa a V il rendimento sarebbe interessante e non penalizzante per il contribuente e per l’impresa (beneficiata dal contesto favorevole). In caso di ripresa ad U il rendimento sarebbe ordinario ma le economie esterne positive dell’intervento compenserebbero abbondantemente il minor reddito; nel caso di (non) ripresa a L non sarebbero certo i mancati guadagni sui prestiti a preoccupare governo e contribuenti. Inoltre non vi è nessun bisogno di nuove manovre o autorizzazioni, essendo i fondi previsti per i TreBond già deliberati, stanziati ed erogabili.
L’intervento dovrebbe essere corredato da provvedimenti legislativi che consentano di esporre questi prestiti partecipativi accanto al capitale sociale interamente versato; inoltre occorrerà stabilire l’esenzione esplicita dai provvedimenti antiusura.
Una volta raggiunta una massa critica, i prestiti potrebbero essere cartolarizzati, mantenendo in capo al Tesoro una adeguata prima perdita, liberando così nuove risorse per ulteriori interventi e aumentando l’effetto moltiplicatore.
L’allocazione e la selezione dei prestiti avverrebbe tramite il circuito bancario. La banca che vuole aderire firma una convenzione con il Tesoro, secondo cui si impegna ad accertare le caratteristiche di ammissibilità e propone periodicamente tranche "discrete" al Tesoro. Le imprese che intendono beneficiare devono impegnarsi a designare una banca "agente" e a sottoscrivere le relative condizioni previste (covenant e obblighi informativi) e assoggettarsi alla verifica da parte della banca.
I vantaggi dell’operazione sono tangibili fin dall’effetto "annuncio", come è avvenuto per i Tremonti bond per le banche. Molte imprese, in difficoltà finanziaria, potrebbero infatti guadagnare tempo se potenzialmente beneficiarie dell’intervento, in attesa di perfezionarlo con scadenze rapide. La disponibilità dei fondi sarebbe immediata, così come il ripristino delle facilitazioni bancarie e dei fornitori. Appena approvata l’erogazione, dunque, verrebbero liberate capacità di spesa sul circuito clienti/fornitori con la nuova liquidità e il nuovo credito bancario, offrendo sostegno a organizzazioni imprenditoriali altrimenti destinate a un brusco ridimensionamento. La risposta alla ripresa congiunturale sarebbe più pronta ed efficace con l’adeguamento delle scorte e gli effetti di ritenzione occupazionale. Infine, nel medio termine, dovrebbe prendere corpo una adeguata "exit strategy" dal debito subordinato, con l’adeguamento patrimoniale delle imprese, alla cui realizzazione potranno prepararsi ordinatamente banche, fondi e altri operatori interessati.
Non si vedono dunque limiti all’interesse per le parti. Il Tesoro contribuirebbe agli obiettivi di iniezione di domanda sotto forma di prestito ad elevato potenziale di ricaduta sull’economia. Il valore della mossa politica, poi, sarebbe indubbio anche a livello europeo, sui TreBond non peserebbero sospetti di ingerenza nella conduzione delle imprese, di intervento dirigista o di obiezione della Ue.
Alle imprese, nella situazione attuale, non c’è bisogno di spiegare l’utilità di un immediato rafforzamento patrimoniale che consente di far fronte al fabbisogno aggiuntivo di capitale circolante rafforzando il potere negoziale con le banche ed i fornitori.
Anche le banche avrebbero i loro benefici, con un effetto indiretto di rafforzamento patrimoniale, per le minori sofferenze nei prossimi 612 mesi e il potenziamento della relazione con le imprese. Per l’industria finanziaria, infine, si aprirebbe il mercato del capitale delle PMI, un affare da 1012/.md. nel post TreBond alle imprese.
La crisi del nostro paese è di sovraproduzione. Se ne esce rilanciando gli investimenti e la presenza competitiva nelle linee di prodotto e di mercato più dinamiche nel commercio internazionale, con recuperi essenziali di produttività e di forza concorrenziale. Il nostro futuro di cittadini globali passa per imprese competitive sul mercato globale. Permettere al sistema industriale e produttivo di superare questi frangenti, senza uscirne ancor più indebolito e vulnerabile, è un obiettivo di tutti, una occasione da non perdere. E oggi più che mai, nessuna opportunità va lasciata indietro.