Andrea Maria Candidi, Il Sole- 24 Ore 30/11/2009;, 30 novembre 2009
IL LUNGO CANTIERE DEL PROCESSO
Quella del processo breve sarà la millediciassettesima puntata. Solo Beautiful ha fatto di meglio ( o di peggio, sono punti di vista). Mandato in onda per la prima volta il 24 ottobre 1989, il codice di procedura penale ha perso subito smalto. Dopo sei giorni la Gazzetta ha infatti reso di dominio pubblico la prima crepa nella trama: il nome del giudice che non è d’accordo con il resto del collegio non «deve» essere inserito nel verbale in ogni caso, ma solo se lo stesso giudice dissenziente lo vuole. Morale della favola, l’articolo 125 è da riscrivere.
Passano a malapena sei mesi e scendono in campo anche i giudici della Consulta: nell’aprile del 1990 viene dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 452 nella parte in cui non prevede che il Pm enunci le ragioni del suo dissenso alla trasformazione del giudizio direttissimo in abbreviato.
Da allora il codice di procedura penale (compreso il corollario delle norme di attuazione), di cui si è appena celebrato il ventesimo compleanno, è stato oggetto dell’accanimento terapeutico di parlamento, governo e Corte costituzionale. Altre mille volte ancora, a conti fatti una a settimana. Quasi la metà degli articoli del codice ( 369 sugli attuali 810) ha subito perlomeno una modifica di legge o una censura, totale o parziale, da parte della Consulta. A volte sulla stessa norma si è intervenuti a ripetizione. Perlomeno un articolo (il 660) è stato prima cancellato con legge e poi resuscitato. Scusate, ci eravamo sbagliati.
La vicenda del codice di procedura penale, insomma, è unica anche per un ordinamento ingarbugliato come quello italiano. E la responsabilità non è certo della commissione, presieduta da Giandomenico Pisapia, che lo ha scritto. Maggioranze in parlamento che si alternano e che buttano giù gli impianti allestiti nel corso della legislatura precedente. Stagioni dell’emergenza che si susseguono e che richiedono, non sempre a ragione, misure tampone o straordinarie: tangentopoli, mafia, terrorismo, anche nella sua più recente matrice internazionale. Poi la sicurezza dei cittadini. Infine il rapporto non certo idilliaco magistratura-politica. A ogni stagione la propria riforma e per ogni riforma rodaggio e polemiche.
Ingredienti che non facilitano la vita del codice che detta le regole e modula i tempi per il processo penale. I toniaspri che accompagnano l’iter parlamentare di approvazione del disegno di legge sul processo breve soffocano la possibilità di comprendere l’impatto reale delle modifiche proposte ( a proposito, il testo presentato al Senato introduce un solo nuovo articolo: si tratta, dunque, della modifica numero 1.017).
I risultati di questo circolo vizioso si vedono soprattutto se si passa il processo penale al setaccio dell’efficienza. Tre milioni e mezzo di procedimenti pendenti, con tempi medi di conclusione da terzo mondo che sembra impossibile ridurre.
In questo panorama capitano pure riforme azzeccate, com’è il caso di quella del giudice monocratico, che un po’ di sollievo ha portato agli uffici giudiziari. Speriamo però che non si debbano raggiungere i numeri di Beautiful (la soap opera ha superato le 5.500 puntate) per ottenere un impianto che stia ancora in piedi senza scricchiolii.