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 2009  novembre 30 Lunedì calendario

QUANTE PATRIE HA LA FRANCIA


Specialista della Rivoluzione francese e del ruolo svolto dall´insegnamento pubblico per creare una coscienza nazionale, Mona Ozouf ha studiato tutta la vita i processi costitutivi da cui è nata, "una e indivisibile", la Francia repubblicana moderna. Nel suo ultimo libro, Composition française (Gallimard, pagg. 219, euro 17,50), la Ozouf cambia prospettiva e racconta un´altra Francia non più nazionale e "universale", ma regionale, locale, fiera delle sue particolarità – usi, costumi, credenze, folklore, lingua - e impegnata nella difficile lotta per difendere il suo diritto ad esistere. Un saggio molto bello e attuale anche per il recente dibattito su "che cosa significa essere francesi" in un Paese che fa i conti con la Bretagna, la Corsica, i Paesi Baschi e l´Alsazia che continuano a battersi per la salvaguardia delle loro specificità. Per questo la Composition française è di grande interesse anche per noi.
A partire dalla propria esperienza di bambina divisa fra tre insegnamenti – quella assorbito a casa dell´appartenenza bretone; quello impartito a scuola di una patria "universale", garante dell´uguaglianza di tutti i cittadini e sospettosa delle differenze, e quello religioso in contrasto con le altre due fedi - la Ozouf si interroga sui diritti-doveri delle minoranze e sull´identità dell´uomo moderno diviso tra molteplici appartenenze.
Nel libro lei prende in esame due concetti di unità nazionale, uno basato sulla "composizione" delle differenze, l´altro sulla subordinazione a una autorità centrale. In che misura essi sono conciliabili?
«La Francia ha privilegiato un modello "repubblicano" unitario, che punta allo sradicamento di tutti i particolarismi. Non ha dato fiducia al movimento autonomo delle culture regionali e ha cercato d´imporre l´universalismo dallo Stato alla società. Ma vi sono altri modelli possibili senza che il vincolo nazionale sia messo in discussione. Il patriottismo non è meno forte negli Stati Uniti, che pure esaltano le appartenenze comunitarie».
Se la Francia si caratterizza per un eccesso di centralismo, l´Italia manca di un potere statale forte. Secondo lei, la centralizzazione politica, amministrativa, culturale è oggi un à tout o una debolezza?
«Le risponderò con Tocqueville che il centralismo è duplice. Quello politico concentra in un solo luogo il potere di dirigere gli interessi comuni a tutte le parti della nazione - la politica estera, la difesa ecc. Quello amministrativo applica a ciascuna delle parti del territorio un sistema elaborato in seno al governo in modo uniforme, ed è del tutto inadatto alle esigenze locali. Ciò che è sinonimo di forza in un campo diventa debolezza nell´altro. Bisogna volta per volta distinguere le competenze che rientrano nelle prerogative dello Stato e quelle che possono essere delegate con profitto alle istituzioni locali».
A partire dal problema delle culture regionali, la sua riflessione si allarga a quello dell´immigrazione e in particolare alle rivendicazioni di taluni gruppi delle comunità musulmane. Qual è la sua posizione a riguardo?
«Qui tutto dipende dalla natura delle rivendicazioni e dalla loro legittimità in seno a una società democratica. Se si insiste sulla particolarità dell´Islam, ciò dipende dal fatto che esso può comportare per i nostri paesi il rischio di caratterizzare comunità rinchiuse su se stesse, straniere tra loro. Tutto il problema è di sapere se l´Islam sarà capace nel prossimo futuro di giungere a una transazione con la società democratica, di disgiungere l´opinione religiosa e l´opinione politica, la sfera spirituale e quella temporale, come ha fatto – impiegandoci tempo, è vero - il cristianesimo. un problema immenso. Ma se si risponde in modo negativo, si determina una guerra di civiltà. Se invece si risponde in modo positivo, allora bisogna fare una cernita accurata delle rivendicazioni legittime e delle rivendicazioni illegittime».
Lei scrive che «se si considera la libertà un principio non negoziabile, non tutti i gruppi si equivalgono, non tutte le culture hanno la stessa dignità, non tutti gli attaccamenti hanno lo stesso peso, non tutte le situazioni hanno la stessa autorità».
« precisamente la libertà "non negoziabile", principio essenziale delle filosofie politiche moderne, che permette di fare la cernita di cui parlo. Risultano allora illegittimi tutti i gruppi, movimenti politici o religiosi, che esigono dai loro adepti la rinunzia alle libertà fondamentali. Sono allora intollerabili le culture che, in nome di una tradizione teocratica o patriarcale, impongono la schiavitù, la escissione, la sottomissione di un sesso all´altro».
Uno dei temi di fondo del suo libro è quello della laicità dello Stato, ma al tempo stesso lei sostiene che non sempre «l´intransigenza è la scelta migliore» e porta ad esempio la legge che in Francia vieta alle ragazze musulmane di frequentare la scuola con il foulard.
«Portare il foulard può essere senza dubbio un modo di dimostrare pubblicamente che la legge della comunità religiosa prevale sulla legge della comunità politica. Ma portare un foulard ha necessariamente questo senso? Può trattarsi di una scelta personale priva del carattere minaccioso che gli si imputa e riconducibile all´individualismo contemporaneo. Per quel che mi riguarda lo autorizzerei volentieri a scuola, segno religioso tra i tanti, a condizione che le alunne manifestino pubblicamente il loro attaccamento alle regole dell´istituzione, essendo questo solo modo di sapere se il foulard intenda essere una provocazione deliberata. Mi opporrei invece fermamente alla deriva che spinge le ragazze velate a rifiutare i corsi di ginnastica, di biologia, di storia».
Lei sostiene che il luogo per eccellenza della "composizione" delle diversità è la letteratura.
«Effettivamente la letteratura intrattiene un rapporto particolare con il pluralismo. Guarisce dalla semplificazione. lei a mostrarci la complessità e l´infinita gamma di sfumature che contraddistinguono ogni singola esistenza. Ma perché la letteratura possa continuare a esercitare questo ruolo bisognerebbe credere al futuro di una attività silenziosa e solitaria come la lettura, in un mondo chiassoso e saturo di immagini come quello attuale. E su questo sono pessimista».