Mario Draghi, Il Messaggero 27/11/09, 27 novembre 2009
FARE DEL SUD LA VERA QUESTIONE NAZIONALE
Abbiamo tutti bisogno dello sviluppo del Mezzogiorno. Da lungo tempo i risultati economici del Mezzogiorno d’Italia sono deludenti. Il divario di Pil pro capite rispetto al Centro Nord è rimasto sostanzialmente immutato per trent’anni. Il processo di cambiamento è troppo lento.
Il divario tra il Sud e il Centro Nord nei servizi essenziali per i cittadini e le imprese rimane ampio. Le analisi che presentiamo oggi rivelano scarti allarmanti di qualità fra Centro Nord e Mezzogiorno nell’istruzione, nella giustizia civile, nella sanità, negli asili, nell’assistenza sociale, nel trasporto locale, nella gestione dei rifiuti, nella distribuzione idrica.
Grava su ampie parti del nostro Sud il peso della criminalità organizzata. Essa infiltra le pubbliche amministrazioni, inquina la fiducia fra i cittadini, ostacola il funzionamento del libero mercato concorrenziale, accresce i costi della vita economica e civile.
Alla radice dei problemi del Sud stanno la carenza di fiducia tra cittadini e tra cittadini e istituzioni, la scarsa attenzione prestata al rispetto delle norme, l’insufficiente controllo esercitato dagli elettori nei confronti degli amministratori eletti, il debole spirito di cooperazione: è carente quello che viene definito ”capitale sociale”. I nostri dati mostrano che non ci sono marcate divergenze nell’andamento del credito bancario tra il Centro Nord e il Mezzogiorno. Nascono nel Sud tante nuove banche quante ne nascono nel resto d’Italia, tenuto conto dei pesi economici relativi.
Le politiche regionali quelle esplicitamente finalizzate a promuovere lo sviluppo delle aree in ritardo, con interventi specifici nell’ultimo decennio si sono volte anche all’obiettivo di innalzare il capitale sociale, attraverso miglioramenti nella trasparenza informativa, nella rendicontazione, nel controllo e nella valutazione dei risultati dell’azione pubblica, ma hanno ottenuto risultati scarsi. Ne hanno indebolito l’azione i localismi, la frammentazione degli interventi, la difficoltà di individuare le priorità, la sovrapposizione delle competenze dei vari enti pubblici.
Se ne può trarre un insegnamento: le politiche regionali possono integrare le risorse disponibili, consentirne una maggiore concentrazione territoriale, contrastare le esternalità negative e rafforzare quelle positive. Ma non possono sostituire il buon funzionamento delle istituzioni ordinarie. Non è quella delle politiche regionali la via maestra per chiudere il divario tra il Mezzogiorno e il Centro Nord. Occorre dirigere l’impegno soprattutto sulle politiche generali, che hanno obiettivi riferiti a tutto il Paese, e concentrarsi sulle condizioni ambientali che rendono la loro applicazione più difficile o meno efficace in talune aree.
Politiche pubbliche uniformi producono infatti effetti diversi a seconda della qualità delle amministrazioni e del contesto territoriale. Nel definire la normativa e le risorse si deve tenere conto di questi aspetti.
Nel caso dell’istruzione, dove varie iniziative sono già in corso, non si può non tenere conto della minore capacità delle scuole e delle università del Sud di stimolare l’apprendimento degli studenti: occorre studiare incentivi e introdurre valutazioni volti a migliorare l’efficienza di ciascun istituto.Ma c’è un altro motivo per concentrare l’attenzione sulle politiche generali: la spesa pubblica primaria che viene convogliata a vario titolo nel Sud è imponente al confronto delle risorse utilizzate per le politiche regionali, che ne rappresentano solo il 5 per cento.
Questo è dunque il messaggio che la nostra ricerca affida alla discussione: affinché il Mezzogiorno diventi questione nazionale, non retoricamente ma con ragionato pragmatismo, ogniqualvolta si disegni un intervento pubblico nell’economia o nella società occorre avere ben presenti i divari potenziali di applicazione nei diversi territori e predisporre ex ante adeguati correttivi. Interventi di politica regionale tradizionale potranno dare un contributo solo se congegnati in coerenza con gli interventi generali.
Le nostre analisi mostrano che i sussidi alle imprese sono stati generalmente inefficaci
Insomma, occorre investire in applicazione, piuttosto che in sussidi. Tradurre questa impostazione in atti concreti di governo non è facile. Si deve puntare a migliorare la qualità dei servizi forniti da ciascuna scuola, da ciascun ospedale e tribunale, da ciascun ente amministrativo o di produzione di servizi di trasporto o di gestione dei rifiuti. Per questo è, innanzi tutto, necessario misurare e valutare i risultati dell’azione pubblica, in ogni campo, dalle grandi opere infrastrutturali fino alla performance del singolo addetto. I lavori presentati oggi danno conto di alcuni progressi compiuti in tale direzione. Molto resta da fare.
Con il federalismo fiscale la maggiore autonomia si coniuga con una maggiore responsabilità: sarà un’occasione per rendere più efficace l’azione pubblica solo se l’imposizione e la spesa a livello decentrato premieranno l’efficienza, solo se gli amministratori locali saranno capaci di indirizzare le risorse verso gli usi più produttivi e le priorità più urgenti. Nel Sud questi obiettivi sono più difficili da raggiungere, ma se raggiunti i benefici saranno grandi, probabilmente maggiori che nel resto del Paese. Altrimenti i divari si aggraveranno.
A Sud come a Nord lo scopo del nostro agire deve essere garantire la funzione pubblica per eccellenza, quella che definisce una cornice, un clima uniformi nel Paese: scuole, ospedali, uffici pubblici che assicurino standard comuni di servizio da un capo all’altro d’Italia.