Laura Landolfi, il Riformista 27/11/2009, 27 novembre 2009
CHRISTA WOLF, SPIA INUTILE DELLA STASI «MA C’E’ CHI LA PARAGONO’ A UNO SBIRRO CILENO»
"Collaboratrice informale Margarete", è il nome che i verbali della Stasi, rinvenuti dopo l’apertura dell’ Archivio, attribuiscono a Christa Wolf, la scrittrice che ha sempre giocato un ruolo fondamentale nella vita politica e culturale della Ddr. Secondo il fascicolo, la Wolffu collaboratrice tra il 1959 e il 1962 salvo poi divenire un bersaglio della polizia segreta che la bollò come "lingua biforcuta" e "sovversiva". L’autrice di Cassandra fece i conti col passato pubblicando il dossier e dimettendosi dalla "Akademie der Kunste" l’organismo che riunisce i più prestigiosi intellettuali della Germania riunificata, che nel ’94 però la richiamò. «Un fascicoletto smilzo» secondo Anna Chiarloni professore ordinario di Letteratura tedesca ali ’Università di Torino, (tra i numerosi saggi dedicati alla scrittrice ha pubblicato "Christa Wolf Le forme della dissidenza", in Le dissenzienti. Narrazioni e soggetti letterari, a cura di Cristina Bracchi). Nel 1996 propose, ed ottenne, di conferire alla scrittrice la laurea honoris causa presso la sua università sollevando un putiferio. In realtà da quelle poche pagine risulta «che le informazioni non differiscono dai giudizi critico-letterari espressi pubblicamente in quegli anni da Christa Wolf Soprattutto non vi fu nulla di politicamente piccante». Ma allora ci fu una vera e propria campagna diffamatoria: «In effetti con la pubblicazione nel 1993 di quei verbali dei servizi segreti (Akteneinsicht Christa Wolf, a cura di H. Winke, Luchterhand Verlag) la figura della scrittrice risultava integra. Ma non tutti sanno il tedesco. Così i giornali da noi gridarono allo scandalo. Ricordo che sul Corriere Galli della Loggia assimilò Christa Wolf a uno sbirro cileno. E Riccardo Chiaberge la paragonò al nazista Waldheim. Ma sono persone intelligenti e immagino che nel frattempo si siano ravvedute».
La Wolf vide rovesciarglisi addosso «quella messa a nudo di un senso di disfatta, quella denuncia del passato regime» che emergevano dalle pagine di Cosa resta, (1990) "la tragica cronaca della giornata di una scrittrice sorvegliata dalla Stasi". Il racconto è un inedito successivo al caso Biermann, il poeta tedesco che, nel 1976, venne espulso dalla Ddr per le sue critiche esposte durante un concerto. L’espulsione di Biermann, secondo Chiarloni, marca bruscamente la fine di quella tregua tra intellighentia e potere perseguita, se pur con alterne vicende, da Honecker. Una lettera aperta firmata da Wolf e oltre cento tra scrittori, poeti e artisti dà «inizio a quell’ esodo verso occidente che impoverisce vistosamente la cultura orientale». Molti vengono espulsi dallo Schriftstellerverband (Unione degli Scrittori), nello stesso tempo Honecker concede l’ espatrio agli intellettuali più critici; chi resta, come la Wolf, «è ora tallonato dai sevizi segreti e scompare dalla scena pubblica».
Quello de Il ’intellettuale non è però un modo per porre in discussione la sua ideologia: «al socialismo Wolf rimase fedele fino alla fine e credo lo sia ancora. Evidenti, e anche precoci, sono invece i dubbi sull ’apparato che quel socialismo avrebbe dovuto realizzare. Emblematico in questo senso è Riflessioni su Christa T in cui inserisce sia la rivolta di Berlino Est del 1953 che la tragedia di Budapest del 1956. La protagonista esce sconfitta dallo spazio sociale, siglando con la morte la separazione della comunità. Il testo viene pubblicato nel 1968 e proprio in quell’ anno i panzer sovietici marciano sulla primavera di Praga: un evento che per molti intellettuali ha segnato la prima crepa nell’ adesione al sistema».
Ma emblematico è senza dubbio anche Il cielo diviso, scritto all’indomani della costruzione del Muro, in cui la separazione della Germania è simboleggiata da quella di una coppia che si divide tra est ed ovest. Apprezzato sia in occidente che nella Berlino Est perché prendeva le distanze dal mondo dominato dal capitalismo, il romanzo (poi diventato film) resta uno dei primi esperimenti di critica sociale nella Germania di quegli anni. Più tardi, caduto il Muro, Wolf firmerà Medea, una riflessione sull’identità con riferimento alla situazione tedesca del 1990. «Con Medea l’Io autobiografico rivendica una propria prospettiva, contrapponendosi a quella che da più parti è stata definita la Tribunalisierung della Ddr, ossia l’espropriazione della storia individuale dei suoi cittadini. Teniamo conto che la Germania di Kohl ha ormai privatizzato l’economia della Ddr provocando massicci licenziamenti, ma non solo: chiudono istituzioni come l’Accademia delle Scienze mentre tutto il corpo docente degli atenei viene sottoposto a una verifica (ideologica) operata da commissioni di universitari occidentali. Medea è anche questo: la denuncia di una politica che ha travolto buona parte dell’intellighentia orientale». Una critica che non è però un allontanamento dal socialismo, come quando il 4 novembre del 1989 con un appello la scrittrice invitava i suoi concittadini a non lasciare la Ddr . «Quell’appello, letto nell’Alexanderplatz davanti a un milione di persone, dava voce al Berliner Traum, il sogno di una rifondazione della Ddr libera dali’ occhiuta burocrazia di partito. Si voleva una democrazia autonoma, non esposta alla ferocia del mercato. E contro la ormai imperante ratio economica questo continua ad essere l’aspirazione di molti, non solo intellettuali, non solo in Germania».