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 2009  novembre 27 Venerdì calendario

MA QUESTI ANGELI COME VOLANO BASSO


Altro che «puri spiriti»... Gli angeli so­no «esseri politici». Anzi, si può so­stenere che ogni governo li abbia presi a modello per la sua organizzazione: non per niente alcune schiere celesti por­tano nomi inequivocabilmente ’governati­vi’: «Troni», Dominazioni», «Potestà», «Prin­cipati ». E poi gli angeli sono chiamati a ri­coprire «uffici» e a compiere «missioni» tal quale un terrestre ambasciatore o un sotto­segretario ministeriale... Insomma, dacché lo pseudo-Dionigi l’Areopagita intitolò De coelesti hierarchia l’opera che alle superne essenze volle dedicare, la scala del potere deve agli angeli un riferimento fondamen­tale.
Certo, l’ultima cosa a cui penseremmo da­vanti a un ministro moderno è che abbia delle ali di scorta nell’auto blu. All’opposto, ci sembrerebbe di far torto a cherubini e se­rafini paragonandoli a un pubblico ammi­nistratore. Eppure non la pensa così il filo­sofo Giorgio Agamben, curando insieme con Emanuele Coccia per Neri Pozza la mo­numentale antologia Angeli (pp. 2012, euro 70), che proclama di occuparsi di Michele e soci dal punto di vista interreligioso di «e­braismo, cristianesimo, islam».
Infatti fin dall’introduzione Agamben trac­cia il suggestivo legame tra angelologia e po­­litica: «Angeli e burocrati tendono a confon­dersi », azzarda per esempio il teorico vene­ziano. E sostiene che sotto le penne dei cit­tadini paradisiaci si cela una duplicità fun­zionale e teorica basilare: azione e contem­plazione, lode (di Dio) e governo (del mon­do), appunto. Gli angeli sarebbero il trait­d’union
tra la visione gnostica di un Onni­potente che ha orrore della materia e quel­la aristotelica del Padreterno motore di in­finiti ingranaggi storici; persino il male – im­possibile a Dio! – viene risolto con un inter­vento angelico: di Lucifero, il decaduto.
Teoria suggestiva e intellettualmente sti­molante, in una materia spesso adagiata su un devozionalismo banale. Ma quanto dav­vero gli angeli di Agamben siano «cattolici», è tutt’altra faccenda. In effetti, e conside­rando del volumone solo la parte centrale dedicata appunto al cristianesimo (per giu­dicare il lavoro sulle altre due fedi manca la competenza), gli angeli che svolazza­no in quei paraggi sembrano parec­chio – diciamo così – «alternativi».
Anzitutto Emanue­le Coccia, il docente di filosofia medieva­le che cura la sezio­ne, li dipinge come esseri assolutamen­te non personali: «Non parlano mai in prima persona», non prendono posizioni e non hanno opinioni, «il tempo scivola su di loro», non hanno nemmeno nomi perché quelli che li defini­scono sono «soprannomi» che definiscono la loro funzione...
«Non sono mai ciò che sembrano, la prima e più evidente proprietà è un’irriducibile ambiguità... Nelle loro azioni non esprimo­no nulla di ciò che davvero sono... Creatu­re integralmente ’senza qualità’». Così Coc­cia, e si capisce che siamo lontani dal cate­chismo. «L’angelo è incapace di dire auten­ticamente ’io’», continua il professore: e potrebbe essere bellissimo, perché ciò in- dica un ente talmente immerso nella realtà che lo invia, da identificarsi con essa e ’di­menticare’ se stesso; trattandosi poi di un ambasciatore, si potrebbe sostenere – ca­povolgendo McLuhan – che qui è «il mes­saggio a diventare il mezzo».
Gabriele come rovesciamento della Tv, dun­que? L’Annunciazio­ne quale contraltare dell’etere? Sottigliez­ze intellettuali ac­cattivanti, magari anche misticamen­te appetibili: ma che allontanano ancor più la realtà angeli­ca dalla terra, la ren­dono più impalpa­bile delle piume di cui li ha rivestiti la decorazione baroc­ca delle chiese. E che ce ne importa, a noi, di angeli così? Si capi­sce perché – son sempre parole di Coccia – «una nota di insopprimibile malinconia co­lora tutti i loro sforzi»; e poi, collegandosi ad Agamben: «L’angelo mostra la necessaria e paradossale tristezza connessa all’esercizio del potere... costretto sempre e solo a occu­parsi del benessere altrui»: ma se proprio questo, nel cristianesimo, conduce alla mas­sima felicità! Insomma, il filosofo ha preso la scia degli es­seri alati e vola sopra Berlino come si addi­ce al più eccelso degli idealisti. Le prove non mancano davvero: anche se talvolta non si risolvono affatto in lode dei poveri cheru­bini...
Gli angeli sono degli snob: sì, perché talvolta sembrano invidiosi degli uomini, e questo li conduce o alla ribellione o al ser­vilismo. Gli angeli sono gregari, «a tal pun­to da non saper far altro che imitarsi reci­procamente ». Gli angeli vivono in «una so­cietà chiusa, totalitaria, interamente com­posta di funzionari». Peggio: gli angeli «so­no mercenari al soldo del loro stesso crea­tore. Ogni angelo è moralmente spavento­so » in quanto incapace «di qualsiasi forma di pentimento o rimorso». E ancora «l’an­gelo è ciò che impedisce all’umanità di co­stituirsi da sola: finché vi saranno angeli, un dio continuerà a disturbare i sogni di ogni uomo».
A questo punto ci si arresta piuttosto per­plessi, pensando a certi bonari angioletti ti­zianeschi che guardano giù dalle nubi co­me puttini tutt’altro che «spaventosi». Ma è solo dopo 80 serrate pagine che Coccia as­sesta il colpo finale, come sempre acuto e laicissimo: «Un angelo è colui che parla al posto di Dio, opera al posto di Dio. curio­so notare come l’esistenza angelica riassu­ma perfettamente il progetto in cui si è com­pendiato lo spirito della modernità: mette­re l’uomo al posto di Dio... l’angelo l’ope­ratore per eccellenza della secolarizzazio­ne, nel senso letterale della parola: è lui a trascinare la divinità nel secolo, a renderla umana». Il gioco di prestigio intellettuale è compiuto: ciò che prima era fin troppo ete­reo, adesso è addirittura materialista. Affa­scinante, forse. Ma che gli angeli del cri­stianesimo siano proprio questi, non ci scommetteremmo affatto.