Sergio Romano, Corriere della sera 27/11/2009, 27 novembre 2009
BAMBINI INVIATI IN AUSTRALIA PER POPOLARE UN CONTINENTE
Alla rassegna stampa estera di Radiotre ho ascoltato la notizia che veniva da Canberra per una pubblica scusa del premier australiano relativo alla deportazione di bambini inglesi tra il 1930-1970, al loro maltrattamento compreso sevizie e abusi sessuali. Sono queste le tanto decantate origini cristiane dell’Europa?
Potrei saperne di più in quanto ho ascoltato che si parla di 500.000 bambini!
Agostino Ghiglione
agostinoghiglione@libero.it
Caro Ghiglione,
a quanto pare, i bambini che le autorità britanniche inviarono in Australia nel corso del Novecento furono 500.000. Quelli che vi arrivarono tra la fine della Seconda guerra mondiale e il 1967, quando gli invii furono interrotti, sarebbero invece 150.000. Il programma risale alla metà del Seicento ed ebbe per molto tempo, come la deportazione dei criminali, scopi politici e demografici. Bisognava popolare le colonie conquistate dalla Gran Bretagna in Asia, in Africa e nelle Americhe, allontanare gli indesiderabili dal territorio nazionale e, almeno nelle intenzioni degli organizzatori, combattere il pauperismo strappando i bambini dei ceti sociali più poveri al destino delle loro miserabili famiglie. Il programma durò più a lungo in Australia perché il Paese fu assillato, durante la Seconda guerra mondiale, dal timore di un’invasione giapponese. Era popolato da 7 milioni di persone (oggi sono circa 20) e avrebbe dovuto abbandonare al nemico, se questi avesse deciso di sbarcarvi un corpo di spedizione, gran parte del suo territorio. Terminato il conflitto, l’Australia fece dello sviluppo demografico uno dei suoi principali obiettivi. Ma voleva restare bianca e accolse sino al 1970 soltanto immigrati provenienti dall’Europa, fra cui molti italiani. Fu questa la ragione per cui il «programma dei bambini » fu mantenuto in vita sino al 1967.
probabile che molti di quei bambini siano stati impiegati, soprattutto nelle campagne, come manodopera servile e che alcuni di essi abbiano subito maltrattamenti e molestie sessuali, soprattutto nei collegi e negli orfanotrofi in cui vennero accolti. Se qualcuno mi chiedesse perché il caso esplode soltanto ora, risponderei che le ragioni sono almeno due. La prima è la tarda età degli 11.000 «bambini » ancora in vita. La seconda è lo scandalo dei preti pedofili, scoppiato negli Stati Uniti sette anni fa, con ricadute giudiziarie che hanno duramente colpito le casse di alcune diocesi americane. Così come il successo ottenuto dalle richieste d’indennizzo delle comunità ebraiche suscitò quelle di altre comunità, così la vicenda dei preti pedofili ha ispirato altre vittime che avevano preferito nascondere al mondo, sino a quel momento, le loro esperienze.
Un’ultima osservazione, caro Ghiglione. Prima di processare la Gran Bretagna, com’è accaduto per la Svizzera nel caso delle rivendicazioni ebraiche, conviene ricordare che questi fenomeni di ingegneria politica e sociale, con movimenti di popolazione organizzati dall’alto, furono molto frequenti nel corso del Novecento e coinvolsero parecchi Paesi. Poche settimane fa il presidente ceco Vaclav Klaus ha firmato il trattato di Lisbona soltanto quando gli è stata data assicurazione che nessuno avrebbe risollevato il problema dei tre milioni di tedeschi cacciati dal Südetenland alla fine della Seconda guerra mondiale. Quanti erano i bambini?